Lavori dei partecipanti al contest di Natale 2021

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    Abominio degli abissi

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    LA SPOSA DI HABORYM



    Clara attraversò la strada di corsa, le pantofole si sfilarono dai suoi piedi e caddero in un canale di scolo. Si fermò. La neve cadeva fitta dal cielo, una pioggia di cristalli di ghiaccio che si adagiava sulle sue spalle.
    La ragazza infilò una mano nella tasca della giacca, le dita sottili sfiorarono due piccole scatole. Per fortuna i fiammiferi erano al loro posto, se li avesse persi suo padre non glielo avrebbe mai perdonato. Doveva venderli, ad ogni costo, o la collera dell'uomo avrebbe preso il sopravvento sulla ragione.
    Si accarezzò la pelle scorticata delle braccia, i lividi violacei pulsavano al passaggio dei polpastrelli, le bastava un acquirente, uno solo.
    Gli abitanti camminavano nelle strade a passo svelto, in direzione delle abitazioni vicine, il nevischio ricopriva di bianco i ciottoli delle vie e le dita dei piedi nudi, immerse nel soffice manto, iniziavano a bruciare.
    Si avvicinava ai passanti con la mano alzata; ma loro, uno dopo l'altro, proseguivano per la loro strada, senza degnarla di uno sguardo.
    Il gelo penetrava nelle sue ossa, senza fretta, e il respiro affannato scandiva i battiti del suo cuore.
    Afferrò per la manica un signore sulla cinquantina.
    «Le servono dei fiammiferi? La prego, compri una scatola.»
    L'uomo con uno strattone si liberò dalla presa, appoggiò le mani sulle sue spalle e con una spinta la scaraventò a terra. Gli stracci che indossava s'inzupparono e l'acqua ghiacciata le irrigidì i muscoli.
    «Cavati dai piedi sgualdrina. Andate al diavolo, te e i tuoi fiammiferi!»
    Il petto le si strinse in una morsa e le lacrime cominciarono a scendere sugli zigomi, scivolavano lente e si congelavano sulle guance viola.
    Le strade erano deserte e la speranza abbandonò il suo cuore. Nemmeno la magia del natale aveva scaldato l'animo degli uomini. Nemmeno una ragazzina, che supplicava travolta dalla bufera, aveva acceso in loro una scintilla di umanità.
    Si accovacciò sul ciglio della strada e sfregò un fiammifero sul marciapiede. La flebile fiamma vacillò al vento e in mezzo al fuoco riuscì a scorgere una stufa di rame; i ceppi di legno scoppiettavano al suo interno e dalle grate di metallo usciva del fumo denso. Le sembrava di essere lì davanti, per un istante il calore le accarezzò il viso, ma prima che riuscisse a riscaldarsi la fiammella si spense.
    Accese un secondo fiammifero; questa volta tra le fiamme una tavola imbandita a festa emanava un profumo delizioso, carne arrosto, patate al forno, e ogni possibile leccornia risplendeva nei suoi occhi, l'acquolina le bagnò le labbra. Allungò una mano, ma anche questa volta, il flebile fuoco scomparve prima che potesse stringere il cibo tra le dita.
    Le visioni le avevano fatto dimenticare il gelo e la fame, il peso che le attanagliava il petto era svanito e nei suoi occhi brillava una luce di meraviglia.
    Non si arrese e ne accese un terzo; un albero di Natale si stagliava sopra a una sconfinata distesa di regali colorati e mille candeline dei colori dell'arcobaleno brillavano sopra ai suoi rami. Sospirò. Come le visioni precedenti la fiamma si estinse, in una manciata di secondi, senza che potesse interagire con essa.
    Il freddo era sparito, ogni sensazione era sparita. Osservò il suo corpo, era blu, gli arti rigidi avevano smesso di rispondere ai suoi comandi e lievi scariche elettriche le percorrevano le ossa.
    Si accasciò sul marciapiede e poggiò la testa sulla neve; la vista era annebbiata e il respiro lento scandiva i suoi battiti.
    Dio ti prego, salvami. Farò qualunque cosa, ma ti prego, salvami.
    Dio non rispose alla preghiera, nessuno rispose alla preghiera; con le ultime forze accese l'ultimo fiammifero, almeno sarebbe morta con una splendida immagine impressa nella mente. Il cerino le scivolò dalle dita e la fiammella cadde nella neve davanti a lei, trattenne il fiato, ma questa volta non si spense. Il legnetto continuava a bruciare, sopra allo strato di ghiaccio bianco, risplendendo nelle sue pupille dilatate.
    Tra le fiamme, la figura di un uomo che cavalcava un drago le volava incontro, nei suoi occhi ardeva un fuoco azzurro, come il cielo invernale in una giornata di sole.
    La neve scricchiolò alle sue spalle e due stivali di pelle nera comparvero di fronte al suo viso. La voce di un uomo scese dall'alto, soffice come i fiocchi che la stavano ricoprendo.
    «Cosa ci fai lì per terra?»
    Un filo di voce uscì dalle sue labbra.
    «Chi sei?»
    L'uomo si stese di fianco a lei, la sua chioma rossa poggiava sul nevischio fresco, le sue iridi scure brillavano alla luce del fiammifero che si frapponeva tra loro.
    «Il mio nome è Haborym e sono un duca. Ora tocca a te rispondere.»
    «Sto morendo.»
    I suoi lineamenti dolci si curvarono in un sorriso.
    «Questo lo vedo, io posso salvarti se vuoi. Devi solo fare una cosa per me.»
    La ragazza annuii.
    «Qualunque cosa.»
    Lui le accarezzò i capelli, le sue dita calde s'insinuarono nella chioma dorata di lei.
    «Mi vuoi sposare?»
    Clara chiuse le palpebre, il suo cuore ebbe un ultimo sussulto.
    «Sì, lo voglio.»
    La fiammella si sollevò dalla neve, librandosi a mezz'aria, Haborym formò un cerchio con la bocca e soffiò. Il piccolo fuoco s'insinuò tra le labbra della ragazza e le entrò dentro.
    L'uomo si alzò, i suoi occhi erano fissi su di lei, giaceva immobile ai suoi piedi avvolta da una coperta di neve.
    «A presto amore mio.»



    ***


    Una decina di passanti avevano accerchiato il cadavere di Clara, il chiacchiericcio riecheggiava veloce per le strade del paese. Tempo mezz'ora e il villaggio si era riunito attorno al macabro ritrovamento.
    Il padre della giovane si avvicinò al corpo rannicchiato, infilò le mani nelle tasche della giacca e una smorfia gli contrasse i muscoli della faccia. Si girò verso sua moglie e mostrò la scatola di fiammiferi vuota, scosse la testa e allargò le braccia.
    Posò lo sguardo sull'ispettore e agitò una mano.
    «Potete portarla via.»
    Il poliziotto annuì e scambiò un cenno d'intesa con i sottoposti; uno la prese per le caviglie e l'altro per i polsi, la sollevarono e la caricarono su un carretto di legno, con un saltello salirono ai lati del cassone.
    Il cocchiere agitò la frusta in aria e colpì il cavallo imbrigliato, un nitrito precedette il cigolio delle ruote. Il carro trainò il corpo di Clara fuori dalla città e si fermò di fianco a una fossa comune: un solco profondo due metri e lungo sei.
    Dalla buca sporgevano le braccia e le gambe dei cadaveri, affioravano dal mucchio di neve che li copriva. I poliziotti scesero dal carretto, gli stivali affossarono nel nevischio e un tonfo soffuso si disperse nel vento. Afferrarono la giovane, la trascinarono ai bordi della fossa e la scaraventarono di sotto. Il corpo della ragazza rotolò tra i sassi e scomparve in mezzo alle altre carcasse.
    Il sole splendeva nel cielo e le nuvole bianche si stagliavano all'orizzonte. Clara si risvegliò abbracciata a un vecchio defunto. Il poveretto aveva i bulbi oculari scavati e al posto del naso due ampi fori, separati da un lembo di pelle giallastra. Si alzò in piedi di scatto, arretrando verso la scarpata, le ossa scricchiolavano sotto i suoi piedi e un insolito calore la riscaldava dall'interno.
    Ricordava l'uomo che si era steso al suo fianco. Il duca Haborym, ricordava anche che si erano uniti in matrimonio, poco prima che il suo cuore smettesse di battere. Si guardò le mani, erano rosa. Eppure era viva adesso, che il suo sposo avesse mantenuto la promessa? Come aveva fatto a salvarla?
    Dalla cima della fossa una voce familiare accarezzò le sue orecchie.
    «Buongiorno principessa, dormito bene?»
    La ragazza alzò lo sguardo, Haborym la fissava con le labbra curve in un sorriso.
    «Cos'è successo? Ero morta.»
    Lui si librò in aria e scese nella buca, le allungò la mano.
    «È successo che mi hai sposato; e mia moglie, come me, non può morire.»
    Clara inarcò le sopracciglia e afferrò la mano che ciondolava sopra alla sua testa. I due si sollevarono da terra, trasportati dal vento.
    «Perché mi hai voluta sposare? Perché mi hai salvato?»
    L'uomo le accarezzò la guancia.
    «Vedi, è stata la sudicia gente della tua città a richiamarmi ed io ho deciso di accontentarli. Insignificanti topi di fogna, che sgusciano nelle fetide viuzze di quel letamaio. Ero venuto a reclamarli, ma quando ti ho visto sul ciglio della strada. Ho deciso che non potevo lasciarti lì, eri troppo bella per il paradiso.»
    Lei prese la mano appoggiata al suo viso e la strinse, avvicinò le labbra alle sue, i loro respiri s'intrecciarono.
    «Dimmi cosa vuoi che faccia.»
    Il viso dell'uomo era percorso da un ghigno.
    «Vendicati di loro.»
    La ragazza abbassò lo sguardo, le rigide carcasse nella fossa sembrava la fissassero.
    «Ma è la mia casa, la mia famiglia.»
    Scesero a terra, nelle iridi di lui bruciava una fiamma azzurra.
    «Ora sono io la tua famiglia.»
    La ragazza deglutì; quell'uomo l'aveva salvata e lei aveva giurato che avrebbe fatto di tutto per lui, doveva tener fede alla sua promessa. Annuì.
    Haborym avvicinò la bocca all'orecchio di lei e le sussurrò una frase, in una lingua mai sentita prima. Clara spalancò gli occhi, goccioline di sudore le scivolarono dalla fronte, rimase in silenzio.
    «Tornerò a prenderti a mezzanotte amore mio.»
    L'uomo unì il pollice e l'anulare, schioccò le dita e un turbine di fuoco lo avvolse; scomparì in una nube nera, che si levava alta nel cielo.


    ***


    Che le sue parole fossero vere? La sua storia era plausibile; il suo comportamento, le sue capacità, non esistevano motivi per dubitare. Sapeva che si poteva fidare di lui, nonostante ciò che le aveva rivelato, nonostante ciò che le aveva chiesto di fare.
    Le dita dei piedi s'insinuarono nella neve fresca, il manto ghiacciato le solleticò le piante, non aveva più freddo adesso.
    Davanti a lei, a cinquanta metri, le mura di legno circondavano il paese. Camminò in direzione del portone, ai lati dell'arco d'ingresso, due guardie chiacchieravano. Le pellicce avvolgevano il loro collo, penzolando sulla schiena e sui fianchi; nella cintola legata alla vita spuntava il manico della pistola.
    Clara li raggiunse e si fermò.
    I due si voltarono, i loro occhi percorsero la figura della ragazza, dalla testa ai piedi. Uno dei due divenne bianco, come la distesa di nevischio candido che ricopriva il terreno, arretrò di due passi e le puntò la pistola contro.
    «Cosa diavolo sei? Non ti muovere o ti apro un buco in mezzo agli occhi.»
    Lei non aveva ancora parlato, e quei due uomini avevano già minacciato di ucciderla. Forse Haborym aveva ragione, quella città era marcia fino all'osso e i suoi abitanti non meritavano alcuna pietà. La nausea le strinse lo stomaco, cominciava a comprendere il disprezzo che il suo consorte provava per quelle persone, il disprezzo che provava per il genere umano.
    La giovane scosse la testa.
    «Perché mi dite questo, qual è la mia colpa?»
    «Ti ho vista, ieri eri morta. Non dovresti essere qui mostro, torno nell'abisso che ti ha generato o ti ci rispediremo noi.»
    Il calore la travolse dall'interno e fuoriuscì dai suoi pori, i suoi occhi s'incendiarono e lingue di fuoco le vorticarono attorno.
    Il secondo soldato si girò e iniziò a correre per le strade della città, le sue urla riecheggiavano in lontananza.
    «Strega...Strega...Strega...»
    Clara scoppiò a ridere.
    «Poveri idioti, io non sono una strega.»
    L'uomo rimasto prese la mira, l'arma era sollevata, all'altezza della testa; non ebbe il tempo di premere il grilletto che un lembo di fuoco si abbatté su di lui, una sferzata dall'alto in basso. La guardia rimase immobile; aveva gli occhi e la bocca sbarrati, i muscoli della faccia rigidi; ricordava una statua scolpita nella pietra, immortalata in un grido eterno.
    La pistola gli cadde dalle mani, tintinnò per terra, e una linea rossa apparve nel punto in cui era stato colpito, si estendeva dalla fronte all'inguine. La carne si separò e gli organi squarciati si riversarono al suolo con un tonfo umidiccio.
    Ora ne era certa, suo marito aveva detto la verità.
    Gli abitanti avanzavano per la via principale del villaggio; marciavano compatti, in mano stringevano fiaccole e forconi.
    Clara attese che si avvicinassero, poi i suoi piedi si staccarono da terra e volò alta sopra di loro. Erano così piccoli da lassù, così indifesi, sembravano uno sciame di formiche in attesa della fine. Per un attimo pensò di risparmiarli.
    Uno scoppio anticipò una palla di piombo che le colpì la testa, il collo venne spinto all'indietro e il proiettile uscì dalla nuca. Fragorose risate riempirono l'aria, si levavano in cielo e inneggiavano alla vittoria.
    Il buco nella fronte di Clara venne avvolto dalle fiamme e filamenti di fuoco s'intrecciarono al suo interno, in un paio di secondi il foro si era richiuso.
    Il silenzio sovrastò le grida di gioia e il vento fischiò solitario nella sera, ingabbiato dalle mura delle case.
    Se è ciò che volete, verrete accontentati.
    Nei palmi della ragazza si generarono due sfere di fuoco, il calore deformava l'aria e rendeva la sua immagine sfocata. Clara abbassò le mani e scagliò le fiamme contro i paesani. Due getti di fuoco si schiantarono nella folla e le urla si diffusero incontrollate. Trecento persone correvano in tutte le direzione; bruciavano come piccoli fiammiferi, gli stessi che aveva acceso la sera prima.
    Clara scese in mezzo a loro. Alcuni erano genuflessi con le mani sul viso, avvolti dalle fiamme che li scioglievano, come candele che bruciano troppo in fretta. Le gocce di grasso colavano dalla carne nera; la faccia, impietrita, stravolta in una smorfia di dolore. Altri si rotolavano nella neve, che evaporava all'istante, mentre la pelle si ricopriva di crepe luminose, rosse come i ceppi che ardevano nel focolare. Si dimenavano, mentre le fiamme li divoravano, lasciando al loro posto solo ossa carbonizzate.
    In mezzo all'ecatombe di fiamme e cenere, intravide i suoi genitori. Tremavano, abbracciati l'uno all'altro.
    Clara avanzò e si fermò a una decina di metri dai due.
    Suo padre alzò le braccia, le mani erano aperte e scuoteva la testa.
    «Tesoro mio non farlo, ferma questa follia.»
    Lei sorrise, era la prima volta che vedeva della gentilezza in quell'uomo, era la prima volta che la chiamava tesoro.
    «Purtroppo è tardi, non so chi siete.»
    Due lembi di fuoco partirono dalle sue braccia e si schiantarono con un boato sui suoi genitori. I corpi esplosero in una nuvola di sangue e viscere, le goccioline rosse cadevano dal cielo, le accarezzavano le guance e colavano fino al mento. Alzò lo sguardo alla luna e si beò di quella pioggia calda.
    La torre dell'orologio scandì i dodici rintocchi. La voce di Haborym sfiorò le sue orecchie. L'uomo risplendeva in cielo, a braccia aperte, tra le nubi nere.
    «Sono fiero di te principessa.»
    Clara restò in silenzio, annuì e spiccò il volo con le mani tese verso di lui. Si strinsero in un abbraccio.
    Le fiamme rischiaravano la notte scura, lapilli di fuoco scoppiettavano nel buio. La città gridava e bruciava, piccola, sotto i loro piedi.
    Haborym sollevò l'indice e pronunciò una frase in una lingua antica; una piccola sfera oscura si innalzò dalla punta del suo dito, si allargò a dismisura e si trasformò in un vasto portale. Al suo interno, migliaia di ombre si contorcevano, avvinghiate tra le fiamme, in una sinfonia di lamenti e urla.
    Dai cadaveri sparsi in paese si sollevarono nubi di vapore grigio, i volti degli abitanti si riflettevano nel fumo denso, il portale attirava i loro spiriti e li risucchiava al suo interno.
    Haborym accarezzò la guancia di Clara. Le loro labbra si avvicinarono, si toccarono, le loro lingue s'intrecciarono in un languido vortice.
    «Torniamo a casa amore mio. Abbiamo un regno da governare.»
    Avvolti dalle fiamme, volarono dentro al portale.


    TANTO TEMPO FA…



    In un inverno freddo e innevato molto indietro nel tempo, una ragazza dalle guance tutte rosse e il nasino gelato si era persa di notte nelle grandi foreste di pini e abeti bianchi a nord della sua città, Letitia, e temendo di morire assiderata cercava di riscaldarsi stringendosi sulle spalle la sua mantella scarlatta. La neve però continuava a scendere e già le arrivava fino al calcagno, minacciando di superare lo stivale in pelle di alce e bagnare le calde calze verdi e arancioni: se non avesse trovato un riparo in fretta, non avrebbe di certo superato la nottata! Almeno la dolce luna le indicava il cammino, illuminando il soffice pavimento bianco su cui lei poteva così posare al sicuro i piedi, almeno quando i sinistri e scheletrici pilastri neri non la oscuravano. Infreddolita, con gli occhi arrossati e il naso sempre gocciolante, alla bella Anna dalle trecce ramate quasi non parve vero quando in lontananza vide il rossore del fuoco crepitante dentro a una grande casa nel mezzo della foresta.
    Anna corse a bussare entusiasta, con i suoi lunghi respiri intervallati da grandi nubi. Quando vide un’arzilla vecchietta aprirle la porta, Anna non poté non sorridere di lieto sollievo e la ringraziò quando la donna la invitò a restare per la notte, proprio quando ormai i lupi in lontananza stavano iniziando a farsi sentire.
    La casa era molto accogliente ma al tempo stesso soffocante, con grandi tappeti e tendaggi pesanti che risparmiavano dal freddo che permeava l’ambiente esterno ma che davano quasi un’idea di claustrofobia. Grande e scura, a illuminare l’ambiente del salotto c’era solo un camino acceso dall’altra parte della stanza nel quale un bel fuocherello crepitava donando il suo calore alla povera Anna che con le sue guance tutte rosse e il pallore della pelle sembrava più morta che viva. In centro al salotto c’erano un tavolino e alcune dure sedie attorno ad esso; su di una sedia si sedette l’anziana signora e sull’altra si sedette la ragazza sotto cortese richiesta dell’ospite.
    Quando Anna si fu seduta, l’arzilla vecchina agilmente si rialzò e le tolse gentilmente la mantellina rossa; quindi la appese sull’appendiabiti ricavati da un bel palco di corna posto a fianco della porta, dietro alla ragazza. Soddisfatta, si sedette e sorrise alla ospite.
    «Ma dimmi, cosa ci fa una così deliziosa ragazza tutta sola nella foresta?», chiese gentilmente la vecchia.
    Anna scosse la testa ritraendosi contro lo schienale della sedia, si portò le mani a coprirsi il viso e pianse.
    «Su, non piangere cara. Se non te la senti, ne parleremo più tardi…»
    «No, tranquilla, sto bene. È che… Tre giorni fa era penetrato nella foresta il mio promesso sposo per cercare legna da ardere, ma non è più tornato. Sa, ho questa sensazione: penso gli sia capitato qualcosa!»
    L’anziana signora le si avvicinò e strinse le proprie grinzose mani attorno a quelle morbide e giovani di Anna, sussurrandole «Tranquilla, sono sicura che il tuo promesso sposo ha solo avuto un contrattempo. Facciamo così, rimani qui almeno per cena in attesa che la nevicata finisca e poi potrai decidere se restare per la notte o tornare a casa tua. So esattamente in che direzione è Letitia, non manca tanto!»; quindi, la vecchia si alzò e si diresse in una sala attigua al salotto, finora invisibile a causa della porta chiusa nella penombra della casa e vi stette per lunghi minuti. Anna sbatté le palpebre pesanti: come aveva fatto a non notarla? Era pure delimitata da due grandi vasi, dai quali usciva una qualche fragranza odorosa molto forte; lavanda forse. Un buon profumo che rasserenava la situazione. Quando tornò dalla giovane, la vecchia sorrideva con un gran sorriso reso minaccioso dalla luce del fuoco, luce che accentuava ogni singola ruga e il lungo naso adunco. «Bene, ho acceso il fuoco, tra poco metterò il pentolone sul fuoco per la cena. Resti per cena, presumo: la neve scende ancora. Nel frattempo, vuoi che ti racconti una fiaba?»
    Anna alla domanda della donna si sorprese, ma pensando di non avere nient’altro di meglio da fare acconsentì. Quindi cominciò a giocherellare con le trecce mentre ascoltava la narratrice.
    «Tanto tempo fa, in una casupola di contadini viveva il piccolo Nanni con i suoi fratelli e sorelle e i genitori. Nanni era un discolo, un bambino capriccioso e viziato che non ascoltava mai nessuno, combinava solo marachelle e non passava un giorno che non li facesse dannare. Un giorno la mamma era così disperata che invocò l’Uomo Nero, un oscuro figuro nero dalla cima dei capelli fino alle dita dei piedi; perfino i bulbi oculari e i denti e la lingua erano tutti neri. Lo presentò al figlio e gli disse che se non si fosse comportato bene almeno fino a Natale, l’Uomo Nero se lo sarebbe preso e portato via per sempre; Nanni pianse per molte ore quando quel terribile figuro lo guardò leccandosi le labbra perché una sola cosa non era nera dell’Uomo Nero: il sangue fresco che gli colava dalla bocca! Così Nanni fece il bravo bambino e ubbidì ai genitori per molti mesi, ma ai primi fiocchi di neve le cattive abitudini tornarono a governarlo. Non voleva più aiutare la mamma a pulire la casa o il babbo con le mucche; voleva solo giocare con le sorelline e i fratellini, molte volte rompendo i vasi e liberando le galline dal pollaio. Fu due giorni prima di Natale, nella notte, che l’Uomo Nero mantenne la sua promessa: furtivo entrò nella cameretta del bambino, lo chiuse in un grande sacco e se lo portò dentro al proprio castello nel cuore della foresta più fitta e spaventosa. Lì con due enormi aghi gli cavò gli occhi, con una lunga pinza gli strappò la lingua e con un tagliente coltello da macello gli tagliò via dal corpo tutta la carne; tutto ciò accadde mentre Nanni era ancora vivo, almeno all’inizio ovviamente. Così, poi, l’Uomo Nero poté banchettare con le carni del discolo la sera di Natale e poté addobbare il proprio Albero natalizio con il teschio e le ossicine, mentre la calma e l’amore regnava nella famiglia del discolo Nanni, che per magia lo aveva dimenticato. Fine.»
    Mentre l’anziana donna concluso il racconto era scoppiata in una sonora risata, la giovane Anna la guardò mortificata; sapeva benissimo che le fiabe avevano una morale e servivano a insegnare ai bambini di comportarsi bene, ma quella era terribile! Quindi per cortesia sorrise brevemente all’anziana ospite e per non pensarci si alzò e si avvicinò al fuoco, per guardarlo crepitare e riscaldarsi bene.
    «Senti…», le fece la vecchia mentre si alzava e si dirigeva in cucina, «Ora il fuoco sarà pronto, ci metto sopra il pentolone per far bollire l’acqua. Perché quando torno non mi canti una bella canzone natalizia? Ormai mancano pochi giorni a Natale e visto che nevica ancora potresti allietarci gli spiriti. Che ne dici?»
    Anna non ebbe il tempo di rispondere, perché la sua ospite era già sparita dietro alla porta della cucina prontamente richiusa. Invece, curiosò sul ripiano sopra al camino e notò una serie di piccoli oggettini di vario valore: qualche ossicino levigato, uno o due anelli, un coltello da caccia e alcuni borselli in cuoio. Ne stava per aprire uno quando la donna tornò e le chiese di cantare; lei allora si sistemò il vestito di lana verde e scelse una bella canzone che parlava di due innamorati separati:
    «Dove vai, dove vai?
    Neanche tu ciò lo sai
    Dove vai, dove vai,
    io ti aspetterò qui per sempre!
    Natale è alle porte, i regali sono fatti.
    Natale è alle porte, le vivande sono pronte.
    Manchi solo tu, manchi solo tu,
    Dove sei? Perché non qui con me!
    Dove vai, dove vai?
    Neanche tu ciò lo sai
    Dove vai, dove vai,
    io ti aspetterò qui per sempre!
    La neve scende già, Natale si farà
    Ma che dico mai, senza di te non lo è.
    Manchi solo tu, manchi solo tu.
    Dove sei? Perché non qui con me!
    Dove vai, dove vai?
    Neanche tu ciò lo sai
    Dove vai, dove vai,
    io ti aspetterò qui per sempre!
    Io ti manco sì lo so, ma non sei qui però!
    Tu mi manchi questo sì, ma perché non sei qui!
    Un Natale, senza di te, io ti penso,
    Arriva presto per me!
    Natale è alle porte, i regali sono fatti.
    Natale è alle porte, le vivande sono pronte.
    Manchi solo tu, manchi solo tu:
    Natale per me sei solo tu!»
    Anna aveva cantato dolcemente, con una voce celestiale, perché pensava al suo Alfredo smarrito da giorni nelle foreste e di cui non aveva più sentito notizie. Quando l’anziana donna proruppe in un plauso per l’esibizione, la ragazza prese le balze che contornavano il lembo con il quale il vestito verde finiva e si protrasse in un inchino soddisfatto ma malinconico: le si era nuovamente dipinto il sorriso sul bel volto, anche se gli occhi erano tornati lucidi. Quindi tornò a sedersi e respirò lentamente, per quietarsi.
    «Hai una voce stupenda, devi essere molto dolce!», le fece la vecchia offrendole una tazza di tè, che si era portata dalla cucina.
    Anna arrossì, bevendo a piccoli sorsi la calda bevanda. «Dovrebbe sentire mia sorella, lei canta nel coro di Letitia. Sembra un angelo! Quindi… Manca molto alla cena? Inizio ad avere un leggero appetito.»
    L’anziana sorrise e ribatté che mancava pochissimo, ma che nel frattempo le serviva una mano per portare cinque casse molto pesanti dalla cantina al salotto; «La cantina si trova dopo una scala dalla mia camera da letto. Lo so, chi ha progettato questa casa non doveva essere un gran architetto!», aggiunse ridendo. Anna accettò timidamente e le due scesero a prenderle; ci misero un po’, soprattutto perché le cinque casse erano effettivamente molto pesanti perfino per Anna, una fanciulla nel fiore degli anni. Ma riuscirono a portarle in salotto, dove le voleva la vecchia.
    Anna dunque soddisfatta del lavoro si sedette, evidentemente affaticata mentre l’arzilla vecchietta sorrideva sempre più arzilla.
    «Wow!», mormorò Anna sentendosi la fronte come per capire se avesse la febbre, «Sono proprio stanca… Mi sta venendo una stanchezza, un sonno, incredibile. Devono essere le casse. Lei, lei non è stanca signora?»
    L’anziana donna le si avvicinò e si sedette sulla sedia accanto a quella della ragazza. La stava osservando.
    Anna non capiva, quindi si ripeté: «Lei non è stanca, signora? Forse ho la febbre, o forse sono solo stanca, tutto questo calore dopo il gelo della foresta. No?»
    La donna ora aveva uno sguardo mortificato, rabbioso, severo. Lentamente si alzò incurvandosi minacciosa verso Anna e le tirò uno schiaffo in pieno volto: «Piccola ingrata. Ti ho salvata, ti ho aperto la porta di casa mia, ti ho riscaldata e perfino intrattenuta. E tu non mi hai nemmeno mai chiesto come mi chiamassi. Una piccola serpe, come tutti gli altri. Una maiala, una scrofa. E da scrofa sarai trattata: bollita nel mio pentolone!»
    Anna, che all’inizio non capiva, dal terrore raccolse tutte le forze e spinse via la donna facendola sbattere contro il tavolino. Prontamente si avventò verso la porta principale della casa dalla quale era entrata ma la scoprì chiusa a chiave (quando era stata chiusa?) e vedendo minacciosa la sconosciuta che le si avvicinava, barcollando si diresse verso la cucina. Sempre più stanca e tremante.
    Non lo avesse mai fatto.
    Quella cucina era il luogo degli orrori della casa! Appese alle pareti su ganci da macellaio stavano gambe umane secche e rigide, sulle mensole lungo il muro a destra si trovavano numerosi strumenti di tortura e cucina intrisi di sangue essiccato, le tendine delle finestre erano in pelle umana mentre sul tavolo c’era un cadavere con le interiora esposte e i polmoni rimossi e il viso scorticato! «Alfredo, no!», urlò Anna riconoscendo i capelli corvini e ricci e la pelle olivastra del proprio promesso sposo. Isterica, si voltò alla propria sinistra e indietreggiò urlando: l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu l’enorme calderone al centro della sala nel quale l’acqua ribolliva minacciando di bagnare l’immenso falò ai piedi di esso; la strega la raggiunse e le sussurrò «Fossi in te morrei ora nel sonno, dicono non sia piacevole essere bolliti vivi!» per poi scoppiare a ridere crudelmente.
    Così, a Letitia la giornata di Natale non fu segnata dalle risa gioiose dei bambini che pattinavano sul lago ghiacciato o dai deliziosi profumi uscenti dai salotti addobbati a festa per il cenone in famiglia. No, altre due persone erano scomparse nel fitto bosco e un velo di terrore e malfidenza era calato sulla cittadina. Solo nel bosco innevato sinistre risate risuonavano, mentre un’arzilla vecchina si preparava il proprio Presepe personale, unico nel suo genere: una moltitudine di bambole, bambolotti e bamboline a cui erano stati cuciti i visi strappati ai cadaveri degli sciagurati che erano andati a farle visita; e quell’anno finalmente l’arzilla vecchina aveva pure trovato la Maria perfetta!
    Buon Natale, amici miei, state solo attenti alle foreste e alle vecchine ospitali o loro staranno attente a voi! Buon Natale e felice anno nuovo!


    RACCONTO DI NATALE


    “«Basta, non ce la facciamo più della sua noncuranza verso la nostra famiglia e i suoi doveri! Siamo stufi della sua tossicità, con la quale cerca di allontanare la nostra bambina dai suoi fratelli più grandi! Da Natale lei è licenziata! Si cerchi un altro lavoro!» «Ma non potete licenziarmi, non dopo tutti questi anni! E non pensate alla povera Henriette, senza la sua balia? Sono come una madre per lei!» «Io sono sua mamma, io! Basta, dobbiamo andare a lavorare. Anche lei ha da fare, i bambini si stanno svegliando. Si cerchi una nuova residenza, da Natale con noi ha chiuso!» «Non finisce qui! Ve ne pentirete!»”
    Era la serata della Vigilia di Natale e Sophy e Arthur erano appena scesi dalla loro lussuosa Leyland Eight felici e spensierati. La cena era andata benissimo. Belli e felici, erano stati la coppia più chiacchierata e invidiata della serata. Tutte le signore avevano osservato con meraviglia i costosissimi brillanti che la giovane matrona inglese portava alle orecchie, così come nemmeno la soffice pelliccia di volpe bianca era passata inosservata. Tutti i gentiluomini avevano invidiato la silhouette della sposa del grande imprenditore, fondatore della più grande ditta di scarpe di tutta Londra: ogni sorriso di quel volto vincente era riflesso nel viso perfetto della sua modella, della sua musa.
    Sophy e Arthur erano una coppia felice e vincente, abituati ad avere tutto dalla vita.
    Così, quando i due arrivarono nella loro proprietà a bordo della fiammeggiante auto di lusso, per loro decorata con parti in oro sul cofano e negli interni, l’ilarità e le risa permeavano l’aria gelida.
    La loro magione risaliva al trisavolo di Arthur, un ricco aristocratico che soleva affittare i campi a contadini e allevatori; era stata costruita imponente secondo uno stupendo gusto neoclassico e tinte gotiche, che rendevano tutto molto affascinante. Per arrivare alla scalinata si percorreva un sinuoso sentiero di ghiaia contornato da rigogliose piante secolari, accessibile da un alto cancello nero, parte mobile di una palizzata in metallo che racchiudeva Villa Kryon in chilometri di perimetro. Villa Kryon era imponente e praticamente inaccessibile ad estranei non richiesti. Ergendosi su ben tre piani in altezza, la vastità di ogni piano rendeva ogni singola stanza quasi un piccolo reame: grandi ritratti troneggiavano sui muri, mentre delicati mobili in ottone ed ebano conservavano i segreti ed i ricordi di una tale importante dinastia; raffinati tappeti arabi decoravano i pavimenti di marmo bianco e, d’inverno, un grande abete veniva posto vicino al camino sempre acceso nel salotto principale ad allietare gli spiriti dei padroni di casa e dei loro ospiti.
    Così, mentre Arthur parcheggiava la sua fiammante macchina in un piccolo garage, la bella Sophy entrava in casa, stanca ma soddisfatta della serata.
    Se c’era qualcosa che Sophy non apprezzava era la tradizione della famiglia dell’adorato marito di lasciare andare dai propri cari il personale la sera di Natale: i Kryon restavano soli nella grande villa, con la casa completamente messa a puntino e tutte le vivande già preparate ancora calde nei vari forni; solo le tate rimanevano per i bambini, mentre le cuoche arrivavano poco prima del pranzo e della cena per riscaldare i loro splendidi manicaretti. E, infatti, quando la bella matrona passò brevemente attraverso il salone e scorse nella penombra la sala da pranzo poté notare come tutto fosse già predisposto. Sbuffò. Era una tradizione così penosa! Così, tirò diritto e percorse le due rampe di scale arrivò nella camera padronale e poté mettersi comoda in vestaglia e ciabattine.
    Quando scese senza far rumore al lume di candela giù al piano terra la sua splendida cappa di velluto blu la fasciava con classe ma senza soffocarla, molto più confortevole del mantello in panno in cui era racchiusa per sfuggire al freddo invernale. La grande sala circolare con un monumentale quadro di famiglia sul muro che contrastava le scale era tutta buia, con le nuvole che oscuravano la luna. Sophy veloce attraversò la stanza e si diresse a destra, verso il salone principale, dove avevano il loro abete addobbato a festa per le vacanze. Era tradizione secolare che fosse il padre assieme ai figli a scegliere e tagliare personalmente l’abete perfetto, per poi trasportarlo con il carro fin dentro all’abitazione; tradizione che Sophy si era ben curata di sopprimere: era il 1927, non il 400, potevano benissimo farlo i giardinieri! E infatti, anche quest’anno era stato scelto un rigoglioso esemplare alto più di quattro metri che rassicurava con la sua ombra la splendida matrona, decorando il buio con le mille luci che le mille decorazioni natalizie di cristallo formavano grazie alla rifrazione della luce della candela. Sophy sorrise, appoggiata allo stipite della porta.
    «Sophy… Vieni qui…»
    Finalmente Arthur aveva messo a posto la macchina ed era pronto a spogliare il suo regalo di Natale privato! Sophy sorrise e corse fuori, tenendo con la mano libera chiusi i lembi superiori della cappa nell’illusione di proteggersi dal freddo e dai venti; ma non vide nessuno. Allora rientrò e si diresse nella sala da pranzo, anch’essa vuota e con le molte alte finestre che davano al tutto una luce spettrale. Non capendo dove potesse trovarsi suo marito, la donna girovagò senza meta fino a che non tornò davanti alle scale ma sbuffò: se mai il marito avesse voluto dirigersi in camera da letto piuttosto che aspettarla al piano terra come avevano concordato, lei di sicuro lo avrebbe sentito. Fu allora che sentì di nuovo la voce gutturale:
    «Sophy… Vieni qui…»
    E stavolta, Sophy era abbastanza sicura da dove provenisse: Arthur aveva deciso di farle uno scherzo nascondendosi dietro all’immenso Albero di Natale! Sorrise e si diresse là, non sapendo che da là non si sarebbe mai più allontanata.
    Le soffici pantofoline invernali della matrona inglese si avvicinavano lentamente nel buio di quel salone, consapevole che tra la porta dalla quale procedeva e il maestoso abete non si sovrapponeva alcun ostacolo che potesse ferirla alle gambe o lasciarle lividi: con quella tremula lucina, di sicuro non avrebbe scorto in tempo ostacoli e si sarebbe fatta male. Fu sollevata quando giunse sotto alle alte fronde scarne dell’abete bianco, ma fu grandemente delusa dal fatto che del marito non ci fosse traccia. Solo un fazzoletto da tasca, di quelli quadrati bianchi che egli era solito portare quando raffreddato; si trovava vicino alla Stella di Natale. Sophy si accovacciò per prenderlo in mano e studiarlo, mentre inconsciamente si chiedeva dove quello sbadato del marito si potesse essere cacciato. Non sapendo quali risposte darsi, preferì guardare la bella pianta.
    Ma si sorprese: la pianta non era affatto bella.
    La Stella di Natale era tenuta in un piccolo vaso sotto a una delle fronde dell’abete, vicino a un grande regalo impachettato. Era piccola e striminzita. I ciazi erano ancora chiusi e degli splendidi petali gialli e arancioni Sophy poteva solo immaginarne la forma e la bellezza. Le brattee erano secche e non avevano la tipica tinta rossa, calda e rassicurante; sembravano più foglie di carta, quella carta consunta che dopo un po’ si tinge di rosa, sbiadita. La Stella di Natale dava proprio un senso di tristezza, quasi nevrosi.
    «Sophy… Vieni qui…»
    Fu quando si stava per alzare che Sophy sentì di nuovo quella voce, era chiaramente la voce del marito. Ma da dove veniva? La donna si guardò nella penombra e infine sotto di sé, e per poco non cacciò un urlo dal terrore: tutti i ciazi della Stella di Natale si stavano aprendo a mostrare un buco che dava letteralmente nella gola del fusto, dentro alla pianta! E da quel buco, quella gola tra i ciazi aperti, uscì fuori un enorme liana che la afferrò per il collo e strinse, costringendola a piegarsi verso la Stella di Natale fino a esserne totalmente inghiottita. L’ultima immagine che la matrona inglese ebbe impressa sugli occhi prima di finire inghiottita dalla Stella di Natale furono due occhi rossi che la fissavano nel buio.
    E poi la calma. Passarono alcune ore prima che la prossima vittima scendesse dal letto.
    Se c’era qualcosa che il piccolo Tom non riusciva a fare era resistere alla tentazione di aprire i regali di Natale prima del previsto. Lo aveva fatto nel 1926 ed era stato messo in punizione, con il regalo confiscato fino al giorno dopo; lo aveva fatto l’anno prima e aveva saltato la colazione per la punizione. Noncurante del castigo, il piccolo Tom alle prime luci dell’alba era sgattaiolato fuori dal letto al secondo piano ed era sceso al piano terreno: voleva sapere quale meraviglia gli avesse portato Babbo Natale!
    Tom con il suo pigiamino a righe rosse e bianche era proprio un bel bambino, con il suo sorriso paffuto e gli occhioni neri, come quelli della mamma; quegli occhietti neri che vivacemente squadravano la stanza in cerca di una cameriera gentile che gli offrisse una caramella, quel sorriso che tanto veniva deformato dalle smorfie festose quando il papà lo inseguiva attorno al tavolo da pranzo per acciuffarlo, quelle manine così piccole che la mamma usava per recuperare gli oggetti quando le cadevano sotto alla credenza in camera da letto per poi sgridarlo perché puntualmente si stropicciava i pantaloncini. Tom era proprio un bel bambino, la gioia di Sophy e Arthur; il diletto rispetto a Jake e Henriette.
    Così, Tom alle prime luci dell’alba, con il cuore che gli batteva a mille per l’eccitazione, con i piedini ancora scalzi, si stava dirigendo verso il grande abete che sovraneggiava il salotto principale; non si era accorto di due grandi occhi rossi che lo squadravano dalla sala da pranzo. Gli piaceva quell’Albero di Natale, anche se tutti i suoi amici gli raccontavano di come ogni anno andassero a sceglierlo con il loro papà: a lui non importava, quello era stupendo! Però, ormai prossimo all’albero, fece un verso di disappunto e si grattò il testone quando notò che nessun regalo era stato posto sotto all’Albero di Natale! Sì beh, ce n’era uno, ma era enorme; era di sicuro per il papà da parte di qualche collega o cliente (cose da grandi). Invece c’era una bella Stella di Natale!
    «Tom… Vieni qui…»
    Quando sentì chiamare il proprio nome, Tom si irrigidì e con aria colpevole si guardò intorno: era la voce della mamma! Era una voce strana però, non era arrabbiata o distaccata come al solito, forse era assonnata; e poi non sembrava arrabbiata! Quindi, il bambino si rilassò e iniziò a guardarsi intorno, per capire da dove potesse provenire. No, la mamma non c’era da nessuna parte. Inquieto e confuso, senza nessun regalo da scartare, Tom fece dietrofront, pronto a correre in letto e far finta di non essere mai sceso.
    «Tom… Vieni qui…»
    Questa volta Tom quasi gridò dallo spavento, la voce era vicinissima! Ma la mamma non c’era! Tom non capiva, ormai non gli importava nemmeno più doversi calare le braghe e subire le sculacciate: voleva la mamma! Indeciso, si girò di nuovo verso l’Albero di Natale, da dove gli sembrava provenisse la voce, e quasi urlò! La Stella di Natale, alta più di un metro e con decine di brattee si stava contorcendo verso di lui! A un tratto, il fusto principale si sporse più degli altri e i suoi ciazi si aprirono, rivelando una gola famelica da cui una lunghissima lingua verde partì per afferrarlo rompendogli di netto il collo. Subito dopo venne inghiottito.
    Una risata risuonò sinistra nella casa: i due occhi rossi ora guardavano impazienti le camere da letto dei due bambini rimanenti.
    E così, quando risuonarono le nove del mattino, anche Jake si svegliò. Ma non capì subito che ore fossero: nessuna tata ad accudirlo, nemmeno la mamma o il papà; erano loro a svegliarlo quando era malato o loro due erano gli unici adulti in casa. Non c’era nessuno a svegliarlo e quando Jake uscì dalla stanza, nel chiarore del sole natalizio che penetrava dalle grandi finestre, non vide nessuno nemmeno ad aspettarlo per i regali o in bagno o a mangiare. Non c’era nessuno! A Jake la situazione parve irreale, quindi non sapendo che fare tornò in camera, chiuse la porta, e si fiondò sotto le coperte calde e sicure.
    «Jake… Vieni qui…»
    Qualcuno aveva bussato alla porta della sua camera, quindi lo avevano chiamato. La mamma lo aveva chiamato! Doveva essere all’albero, spazientita come al solito! Sul visetto magrolino di Jake si dipinse un sorriso: non era solo, avevano voluto fargli una sorpresa e si erano nascosti, e ora che avevano aspettato troppo mammina si era spazientita. Certo, tutto quadrava. Così Jake si fiondò giù dal letto e corse giù per le scale a perdifiato e poi dritto nel salotto principale, quello con i divani in pelle rossa. Ma non trovò nulla di quanto sperava.
    La stanza era vuota, non c’era nessuno della sua famiglia. L’unica cosa, c’era un inquietante cespuglio dalle foglie tutte rosse; quasi non poteva scorgere nemmeno l’Albero di Natale! No, non gli piaceva: voleva tornare a letto, al sicuro. Prima o poi qualcuno dei grandi sarebbe tornato a rassicurarlo. Si girò e stava per correre nella sua cameretta quando la Stella di Natale, ora alta più di tre metri, se lo mangiò senza dargli nemmeno il tempo di scappare.
    E così, quasi tutta la famiglia Kryon era stata distrutta.
    A mezzogiorno, nel silenzio generale, due mani gentili presero il vaso della Stella di Natale e, noncuranti del peso di tutto quel volume, lo portarono nella stanza di Henriette. Finalmente dentro, la tata la guardò beata dormire per qualche minuto, nel suo lussuoso letto a baldacchino dagli stupendi tendaggi d’oro che la racchiudevano come fossero i delicati petali di un narciso; poi la svegliò.
    «Mamma! Allora non mi hai abbandonata!», esclamò gioiosa la piccola Henrietta vedendo la tata seduta felice davanti a lei.
    La donna sorrise e scosse la testa: «Certo che no, piccola mia! Non avrei mai potuto lasciarti in mano a quei mortali, sei troppo piccola! La mia bambina, cara, cara bambina!»
    «E cos’è quella bella pianta? Non ho mai visto foglie così vicine al sangue! È bellissima! È… è per me?»
    «Certo! Buon Natale, piccola bimba mia. Qui, dentro ai fusti di questa bella piantina, giacciono i resti digeriti di coloro che credevano essere la tua famiglia! Ora sei ricca, indipendente, ereditiera!»
    Henrietta felice saltò giù dal letto. Come se niente fosse, si tolse i boccoli d’oro e rivelò una calvizie impietosa. Come se niente fosse, si tolse il delizioso nasino a patata e rivelò due inquietanti buchi da cui respirava e da cui usciva sempre muco giallo. Come se niente fosse, si strappò via le belle manine morbide rivelando lunghi artigli neri e affilati. Come se niente fosse, si strappò gli occhioni azzurri, mostrando alla mamma mille terribili occhiettini rossi e lucidi, come quelli delle tarantole. Come se niente fosse, si tolse di dosso la pelle rosea come se si stesse togliendo un vestito e rimase con la sua vera pelle, uno straccio raggrinzito e violaceo, tutto duro.
    «Che bello, mamma! E ora, che si fa?», esclamò quella, quella cosa andando incontro alla madre.
    La madre si strappò via la faccia e rivelò gli stessi tratti di Henrietta, poi sorrise: «Nulla, si festeggia il Natale! E celebriamo il tuo futuro nella luce: dopo esserti scambiata con quella sciocca bambina mortale, finalmente hai assicurato un bellissimo futuro nella luce e nell’accettazione. E non dovrai nemmeno temere che ti abbandoni, ora: mi potrai licenziare solo tu!»
    Le due si guardarono negli occhi, nei loro grandi e lucidi occhi rossi, e si abbracciarono nuovamente con grande felicità e amore.
    «Buon Natale, mamma! Al nostro futuro sempre insieme!»
    «Al futuro! E buon Natale, piccola mia!»

    IL LUTTO DI NATALE - uomo pacco



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    UNA POLTRONA PER UNO




    MAMMA HO PERSO L'AEREO



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    X-Mas Ghoul



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    Edited by SidneyB - 26/12/2021, 19:20
     
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    Intanto complimenti ai partecipanti e soprattutto a Sideni che ha organizzato il qui di seguito. Lavori straordinari in prima visione, complimenti a chi visionerà e a chi commenterà. Stupendo poi che c'è anche un lavoro del mio insieme a questi lustri illustrati e paroliati.
    Inizio a leggere e pubblicherò i voti qui a seguire senza pregiudizio e senza segretismi psicomotori spastici, ok? Ok? Ok? Si si si si si si..... Commentate tutti o vi mando il kille. Ciao e alla prossima commentazione. La parola alla regia. Sigla!
     
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    A prima vista direi che avete pubblicato dei lavori molto interessanti e questo mi fa piacere, appena posso immergermi nella lettura dei vostri racconti verrò a giudicare i vivi e i morti.
     
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    Apro io le danze coi voti, allegherò anche un breve parere personale. Metto tutto in spoiler.

    - La sposa di Haborym: voto 6, non mi dispiace, la rivisitazione è carina, ma non fa paura. Il pov da carnefice e non da vittima fatica a spaventare.

    - Tanto tempo fa...: voto 7, c'è del potenziale e la storia è interessante. Sono sempre sensibile ai bambini che vengono uccisi.

    - Racconto di Natale: voto 7, finale a sorpresa che ho apprezzato parecchio! Non mi piace molto, ed è più che altro un consiglio, che mi venga spoilerata la morte dei personaggi prima che accada (Prima con Sophy "non sapendo che da là non si sarebbe mai più allontanata." poi con Tom "Passarono alcune ore prima che la prossima vittima scendesse dal letto.")

    - Il lutto di Natale: voto 7,5, l'idea della "carta stracciata" come vestito mi fa pensare a un uomo che ha perso dei pezzi durante la sua vita, mi è piaciuto.

    - Una poltrona per uno: voto 8, il lavoro che ho apprezzato di più. Belle le inquadrature e la nota di black humor nel titolo.

    - Mamma ho perso l'aereo: voto 7, disegno che trasmette una scena chiara. La visuale dal basso verso l'alto, il sangue sulle facce dei ladri e sul coltello, e le macchie rosse sul pavimento. Qualcuno è riuscito ad avere la sua vendetta!

    - X-Mas Ghoul: voto 7, non mi aspettavo un manga in contest, ho apprezzato molto l'idea dei "due volti" del personaggio, lato buono e lato cattivo che risiedono in ognuno di noi? Bello!

    Edit: aggiunto valutazione X-Mas Ghoul e aggiunto mezzo voto a "Il lutto di Natale" non avevo capito si potessero dare i mezzi voti 😅


    Edited by 1Nessuno - 26/12/2021, 21:37
     
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    ahaha l'uomo pacco !!!!
     
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    dai voto anche io, con alcuni commentini
    spoiler

    LA SPOSA DI HABORYM: 6+. Non ho ben capito cosa volesse comunicare, se dramma oppure vendetta, o se fosse semplicemente un testo di denuncia sociale dell'ipocrisia della classe benpensante. Secondo me per apprezzarlo pienamente bisogna empatizzare fortemente con la protagonista ma la storia seppur ben scritta mi è scivolata addosso; forse in altri casi con più attenzione nella prima parte può piacere.^^

    TANTO TEMPO FA…: 7. Una bella fiaba con all'interno un'altra storiella e una filastrocca. Adorato l'ambientazione ma avrei preferito una maggiore descrizione del gore, cosa succede effettivamente alla ragazza. Mi ricorda le fiabe dei fratelli Grimm!

    RACCONTO DI NATALE: 6,5. Adoro gli anni '20, la loro moda e hai perfettamente centrato il punto. Forse, hai dimenticato di ambientarlo meglio nella seconda parte? Perché la seconda parte potrebbe essere collocata in qualsiasi epoca... Comunque, carina l'idea della pianta carnivora e della successione alla Dieci piccoli indiani!

    IL LUTTO DI NATALE - uomo pacco: 8. Bellissimo disegno ma a parte l'alienazione dove sarebbe l'orrore? Stupenda la tecnica, mi ricorda una di quelle raffigurazioni nei libri antichi!

    UNA POLTRONA PER UNO: 6,5. Non ho ben capito come si colleghi effettivamente con la pellicola e tutto il video viene spiegato da un fotogramma troppo veloce contenente un messaggio lungo, che senza stoppare il video non sono riuscito a leggere. Il sangue poi fintissimo, carine le inquadrature paesaggistiche anche se uno schermo non verticale avrebbe giovato al tutto.

    MAMMA HO PERSO L'AEREO:5,5. Adoro il riferimento a Mamma, ho perso l'aereo ma... non ho ben capito l'inquadratura e mi sa che non hai osato abbastanza: facciamo che uccidiamo Kevin ma non mostriamo il cadavere perché mostrare un bambino ammazzato turba molti? Allora perché scegli questa via? Poi mia mamma vedendo il disegno, pur essendo fan del film, non ha riconosciuto i ladri; avrei reso i ladri come sono alla fine del film (come sarebbero stati se fossero riusciti a uccidere Kevin nel film) e addobbato le pareti, per aiutare a localizzare la pellicola.

    X-Mas Ghoul:6,5. Figo è figo, ma non conosco il manga/anime e mi sembra una fanart troppo attaccata all'originale.


    Sono stato molto critico con tutti ma tutti noi partecipanti siamo stati eccelsi.^^

    Edited by Austin Dove ÆÐ - 26/12/2021, 19:43
     
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    Ho aggiunto un lavoro, quindi chi ha votato rivoti anche quello
    grazie

    P.S. valgono anche i mezzi voti :)
     
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    Ok, valutazioni, sarò di una cattiveria smisurata, perché io non ho partecipato e quindi dovete pentirvi di questo, tra l'altro sto scrivendo con le mani congelate, e quindi è giusto che soffriate anche voi ma ancora di più, silenzio e rassegnazione adesso.
    - LA SPOSA DI HABORYM: l'esempio di come un racconto non dovrebbe essere scritto, emerge una lacuna letteraria enorme, eppure è scritto benissimo, scorrevole e splendidamente fluido, forse il più curato tra i presenti. Molto carino, emozionante, truce, vendicativo, mortifero, bruciato e fiammiferaio.
    Insomma, questo racconto è un aborto, e dunque lo premio con un 8 su 10

    - TANTO TEMPO FA… un classico, ed è per questo assolutamente inutile, insomma, ce ne era davvero bisogno?
    :Mestiere:
    Eppure ha avuto il pregio di farmi rabbrividire in più di un occasione, bambini fatti a pezzi, eviscerati, organi esposti, Uomini Neri da cui pendono bave scarlatte. Ecco davvero sono cose che non andrebbero mai scritte da una persona normale, proverei una profonda vergogna per il tuo lavoro così meravigliosamente macabro.
    E dunque, ti premio con un 7 su 10, ma solo se posso visionare il presepio (non presepe! quante volte devo dirlo? Presepe suona brutto).

    - RACCONTO DI NATALE questo dimostra che voi scrittori non avete alcun rispetto per i valori umani di chi vi legge. Mentre soffrivo a leggere sanguinando copiosamente dagli occhi ho dovuto allontanare la mia stella di natale che pareva sempre più fissarmi e sul punto di inglobarmi dalle escrescenze petalose.
    Ho mal sopportato anche il finale, perché le creature erano troppo inquietanti ed io a Santo Stefano vorrei passare una notte serena.
    Davvero nessun rispetto, e quindi un 7 su 10 ma con lacuna di Educazione Civica.

    - IL LUTTO DI NATALE - uomo pacco Non so chi ti abbia dato gomma e matita, ma credo che non faccia proprio per te dato che per qualche strana ragione l'uomo pacco continua a fissarmi dallo schermo, e più lo guardo e più sembra che si scarti da solo rivelando un indicibile mostruosità.
    Altro che vaccino, dovresti farti un iniezione di spirito natalizio, ma che siamo pazzi? Vuoi farmi impazzire per caso?
    Nonostante la sgradevole aura gialla/marcescente do come voto 8 su 10.

    - UNA POLTRONA PER UNO mi aspettavo un blockbuster di alto livello, invece apro e trovo un corto di alto livello.
    Ma allora non capisco questa fissa con le asce insanguinate e sangue a fiotti, e poi a Natale non è che per forza la neve, su HdP sta nevicando ininterrottamente da un mese, non ne posso più, ti pare?
    E per non dire del corpo tagliato in due, alcune cose non puoi farle vedere, perché potrei pensare che sul serio hai tagliato uno in due per fare il video, io questo non lo so. Non lo so proprio, ho ragione o no?
    Ti do come voto 9 su 10 perché faceva talmente pietà che alla fine ho riso a crepapelle per l'originalità dell'idea che hai avuto.

    - MAMMA HO PERSO L'AEREO questo succede quando uno vuole fare un lavoro ma non ha idea di come debba essere svolto: ha le capacità ma non si impegna.
    E infatti è buttato talmente così che pare una caricatura professionale di alto livello.
    Il problema che è ci ho messo un po' a riprendermi che quello non era un caramellone di natale ma un piede di porco intriso di sangue e i tizi avevano intenzioni ben più truci di quanto ricordassi.
    Do come voto 8 su 10

    - X-Mas Ghoul Di nuovo, anche questo disegno è uno sfregio alla mia sanità mentale, il mio cervello non sa chi e cosa guardare. Non è che per ogni lavoro devo poi andare tramite perizia psichiatrica per riprendermi.
    Un ambivalenza sconcertante che non approvo per l'eccellente ambiguità mangastyle, a maggior ragione se accompagnato da un tratto artistico di ottima fattura.
    Do come voto 7 su 10 (ma solo dopo pagamento spese mediche)




    Ovviamente sto scherzando, spero nessuno si sia offeso, le uniche cose che penso sul serio sono le valutazioni e i giudizi positivi.

    Sono tutti dei bei lavori, ho passato una piacevole oretta leggervi e visionare i disegni, quindi...grazie!
     
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    Cadavere ambulante

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    Complimenti a tutti i partecipanti! :evilclaus:
    Ecco le mie votazioni che ho basato non tanto sulle tecniche utilizzate, quanto piuttosto su ciò che le opere in sé mi hanno trasmesso.
    La sposa di Haborym: 8 (un horror romantico e un po' sanguinoso, un accostamento che mi piace un sacco);

    Tanto tempo fa: 7 (piaciuto il tono da fiaba dark);

    Racconto di Natale 7.5 (originale, mi è piaciuta l'idea del mostro-stella di Natale);

    Il lutto di Natale: 6.5 (opera di qualità a livello tecnico e originale l'idea dell'uomo pacco, anche se non è proprio uno stile artistico che prediligo);

    Una poltrona per uno: 7.5 (umorismo nero e grottesco, mi è piaciuta la metafora a doppio senso dell'uomo invidioso che lo accettò);

    Mamma ho perso l'aereo: 6.5 (carino, Mamma ho perso l'aereo è ormai un cult natalizio);

    X-Mas Ghoul: 8 (da amante di manga ed anime non posso che apprezzare questa rivisitazione natalizia del ghoul).
     
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    Bravi ragazzi, mi sono divertito un sacco a leggere e e visionare tutti i lavori rendendo speciale il giorno di Santo Stefano.

    LA SPOSA DI HABORYM: Mi piace l'elemento Fantasy-Dark del racconto e la piega inaspettata che viene fuori nel finale.

    VOTO- 7,5/10

    - TANTO TEMPO FA… Racconto in stile vecchia scuola, bello il contesto della vecchia "ricorda la strega di Hansel e Gretel" ospitale che poi si incazza perchè i giovani di oggi sono maleducati.

    VOTO- 7/10

    - RACCONTO DI NATALE Mi ha ricordato un racconto della collana de Brividi e Paura "Piante Assassine".

    VOTO- 7,5/10

    - IL LUTTO DI NATALE - uomo pacco Mi piace un sacco questa tecnica di disegno che mi ricorda il mitico Edvard Munch.

    VOTO- 8/10

    - UNA POLTRONA PER UNO Un pò confusionario e girato con quello che passa il convento? l'idea non mi dispiace ma poteva e doveva essere sfruttata meglio, bella la resa fotografica del sangue anche se era davvero poco.

    VOTO- 7/10

    - MAMMA HO PERSO L'AEREO Questo che ritrae della rivincita dei perdenti lo trovo interessante, odio quando in un film/cartoni et simili siano sempre i "cattivi" a perdere e ho sempre immaginato delle storie alternative in cui a vincere fossero i vinti.

    VOTO- 7,5/10

    - X-Mas Ghoul Bello questo art-work, davvero ben disegnato e fedele all'originale "aspetto e tratti distintivi".

    VOTO- 7,5/10
     
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    Orrore Cieco

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    Un plauso a voi tutti! Non ho dato nessuna "insufficienza", ma sono andata a gusto quasi meramente personale, sapevatelo!
    Ho provato anche a indovinare chi ha fatto cosa, mi diverto con poco io XD

    LA SPOSA DI HABORYM: Mi è piaciuto davvero tanto ed è anche scritto molto bene! Adoro Andersen e questa fiaba in particolare, perchè mi ha sempre lasciato quel senso di malinconia e solitudine... che tu hai trasformato - quasi naturalmente - in un senso di odio e vendetta. La vittima che diventa carnefice, il tutto all'interno di una cornice fantasy/soprannaturale. Per quanto mi riguarda hai centrato tutti i bersagli, anche in merito al tema del contest.
    Voto: 9 (Se avessi optato per un vampiro probabilmente sarebbe stato 10 :XD: )
    Identità: 1Nessuno

    TANTO TEMPO FA…: Un mix tra Cappuccetto Rosso e Hansel e Gretel? Io ci avrei messo il lupo e l'avrei fatto trionfare su tutto e tutti! :metal: Da brava amante dell'horror ho apprezzato i dettagli cruenti, ma sinceramente nel complesso non mi ha trasmesso molto.
    Voto: 6,5
    Identità: Sidney

    RACCONTO DI NATALE: Questa è una storia inventata di sana pianta (no pun intended ^U^ ) o sbaglio? Fino al primo omicidio si lascia leggere, i successivi due mi sono risultati un pò ripetitivi. Carino invece il finale.
    Voto: 7
    Identità: Austin

    IL LUTTO DI NATALE - uomo pacco: Beh che dire, bellissimo disegno! Si vede che è opera di un artista, nel vero senso della parola. ... Mi ha anche fatto venire in mente l'assassino di Cabal :patpat:
    Voto: 8
    Identità: Aaron

    UNA POLTRONA PER UNO: Oooh un pò di sano black humor! Per essere una produzione home made, il sangue l'ho trovato abbastanza soddisfacente e l'accetta fa sempre la sua porca figura. ... Quello alla fine era un omaggio a Game Of Thrones, invece? :XD:
    Voto: 6,5
    Identità: Ragnar

    MAMMA HO PERSO L'AEREO: Mamma ho perso l'aereo... e pure la vita. Anche tu te la cavi a disegnare e mi piace la prospettiva :Clap:
    Voto: 7
    Identità: Leon

    X-Mas Ghoul: Questo non lo conosco, ma deduco dallo stile che si tratta di un qualche anime. Tu disegni praticamente come me... se io sapessi disegnare le facce :XD: ;_;
    Voto: 6
    Identità: Bambolina
     
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    Demone dell'oltretomba

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    La sposa di Haborymio voto 7,25 ilNessuno
    Tanto tempo fa... Voto 6,75 Austins
    Racconti di Natale voto 6,75 Sidnei
    Il lutto di Natale voto 7,99 Aaron io bravissimi anche voi!
    Una poltrona per uno voto 7,42 ragnar
    Mamma ho perso l'aereo voto 7,74 leon
    Xmas ghoul voto 6,81 Yria

    A sensazione, secondo i tarocchi questi sono i voti che ci devo darci a noi. Gli antichi si sono espressi attraverso l'Aaron in questo digit.
    Esprimetevi anche voi senza elocubrazioni psicostoriche. Firmato Aaron
     
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    Ho già assegnato le votazioni, ora provo ad assegnare le opere alle identità. XD
    - Austin Dove ÆÐ: La sposa di Haborym + Racconto di Natale
    - Sidney: non ha più partecipato secondo me
    - 1Nessuno: Tanto tempo fa...
    - Aaron‚ Criterio dell': Il lutto di Natale
    - Leon: Una poltrona per uno (è sicuramente sua l'opera perché c'è la sua foto sul canale XD)
    - Ragnar: Mamma ho perso l'aereo
    - BambolinaHorror: X-Mas Ghoul
     
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79 replies since 26/12/2021, 11:12   1436 views
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