Richard "The Iceman" Kuklinski

Contract killer

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    Abominio degli abissi

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    Solo ora noto con piacere questa categoria sul forum, e mi stavo proprio chiedendo se ce ne fosse una ;) Ho provato a cercare sul forum questo personaggio e non ho trovato nulla in merito, così volevo riportarvi un articolo/dossier che avevo scritto io qualche anno fa per il sito "La Tela Nera". Lo riporto interamente qui. Una piccola curiosità, nel 2012 è uscito "The Iceman", film vietato ai 14 anni di Ariel Vromen che racconta la storia di Richard, film carino senza grosse pretese, dedicato diciamo a quelli più "legati" a questo criminale.

    Richard-Kuklinski-04



    Nome Completo: Richard Leonard Kuklinski
    Soprannome: The Iceman (l'Uomo di Ghiaccio)
    Nato il: 11 aprile 1935
    Morto il: 5 marzo 2006
    Vittime Accertate: un numero imprecisato, tra le 100 e le 250
    Modus Operandi/Caratteristiche: uccideva con il veleno, a mani nude e con ogni tipo di arma: contundente, da fuoco e da taglio.

    Infanzia e origini
    I suoi genitori, Stanley Kuklinski e Anna McNally, erano immigrati polacchi molto poveri. I Kuklinski vivevano in un piccolo appartamento in un casermone alla periferia di Jersey City in cui il gabinetto era in comune con gli altri inquilini.

    Richard, primogenito, aveva un fratello e una sorella. Vivevano in uno stato di povertà assoluta, dove praticamente possedevano tutti quanti solo gli abiti che indossavano, non avevano null'altro da mettersi. Questo fu principalmente motivo di commenti e aspre critiche da parte degli altri bambini, che lo prendevano in giro vedendolo con indosso sempre gli stessi abiti, larghi e consumati.

    Il piccolo Richard andò a lamentarsi da sua madre, dicendo che si vergognava ad andare in giro in quelle condizioni, ma Anna McNally, una donna algida, consumata dalle numerose percosse e violenze subite da un prete durante la sua infanzia passata in orfanotrofio, non lo ascoltava per niente, e continuò ad acquistargli vestiti di numerose taglie più grandi del normale: così facendo era della convinzione che quando il piccolo Kuklinski fosse cresciuto, non avrebbe più dovuto rimpolpargli il guardaroba.

    I soprannomi che gli altri bambini e compagni di scuola gli ripetevano con più frequenza erano "Richie, il ragazzo-straccio", "Richie barbone" e il "Polacco ossuto". In particolare quest'ultimo, il "Polacco", gli tornò spesso in mente una volta adulto, rendendolo molto nervoso, e ciò divenne uno tra i motivi principali per dedicarsi a quello che realmente gli riusciva meglio, uccidere, appunto perchè con quella semplice parola, rimembrava un'infanzia vissuta nella miseria e nell'umiliazione da parte di un mondo a lui esterno, pieno di povertà e violenza, qual'era la Jersey City all'alba del XX secolo.

    Suo padre, un uomo violento e con il vizio di bere molto, lavorava per le ferrovie e aveva l'abitudine a stare via per molto tempo: quando ritornava a casa, immancabilmente era ubriaco e iniziava a prendersela con chiunque gli fosse stato a tiro, Richard compreso. La madre poche volte cercava di fermarlo, generalmente era abituata non tanto ad alzare le mani come Stanley, quanto a umiliare i propri figli con le parole e l'atteggiamento: il suo disprezzo per la vita sembrava sempre che dipendesse da queste povere creature, e ogni cosa che Richard tentò di fare, lei gli e lo fece pesare come fosse un crimine.

    Lo scopo di Anna McNally era quello di rendere l'infanzia dei propri figli uguale a quella che ha avuto lei, un vivace inferno.

    Un ulteriore fatto che influenzò molto Kuklinski sulle scelte che seguirono e sulle strade criminali che intraprese, fu quello di assistere all'uccisione del piccolo Florian, suo fratello minore, per colpa delle forti percosse inflittegli dal padre ubriaco. L'accaduto creò in Richard uno stato interiore di rabbia verso il padre, e nelle proprie confessioni e interviste future il serial killer più volte ammise il proprio dispiacere di non essere mai riuscito ad avere un occasione per uccidere Stanley con le proprie mani.

    Quando gli era possibile, Kuklinski evitava di andare a scuola e preferiva girovagare senza meta per la città come fosse stato un barbone. Non aveva amici e non aveva compagni di giochi, se ne stava sempre solo e in disparte, esisteva solamente lui contro un mondo che non ce la faceva ad accettarlo.

    Durante uno dei suoi vagabondaggi, vide un camion aperto e, dentro, una bottiglia di vino. Non ne aveva mai assaggiato, ma sapeva che era una cosa che valeva la pena fare: rubò la bottiglia, si nascose in un posto isolato, e se la bevve tutta. La notte, a casa, stette male e, per una settimana, non uscì di casa per la paura di essere arrestato dalla polizia.

    Ma nessuno lo venne mai a cercare, così si tranquillizzò e iniziò a pensare che, anzi, quel vino era proprio destinato a lui, e pian piano con l'avanzare del tempo, accumulando azioni criminali e riuscendo immancabilmente ogni volta a farla franca, si rese conto di essere come invincibile, di avere una qualità in più rispetto a tutti gli altri.

    Il primo omicidio della Murder Machine
    Nel quartiere dove abitava Richard Kuklinski, viveva un ragazzo, un certo Charley Lane, capo di una piccola banda di quartiere composta da sei ragazzi, che ce l'aveva particolarmente con lui. Ogni volta che si incontravano, non perdeva occasione per umiliarlo, prenderlo in giro e chiamarlo "sporco Polacco", e se Richard osava ribellarsi lo picchiavano con pugni e calci.

    Dopo averle prese varie volte, Kuklinski non reagì più ma cominciò ad accumulare una rabbia crescente dentro di sè, una rabbia che lo portò in breve a compiere il suo primo omicidio, uccidendo involontariamente il piccolo Charley e sbarazzandosi successivamente del corpo in preda al panico, scaricandolo in una palude a South Jersey, dopo aver rubato e guidato una macchina per qualche ora (ovviamente senza patente data la ancor giovane età).

    L'Uomo di Ghiaccio incontra Bambi, la vita familiare
    Passarono gli anni. Nel 1961, Richard conobbe e successivamente sposò una ragazza del suo quartiere, dalla quale poi ebbe due figlie, Merrick e Chris, ma inevitabilmente gli salirono in testa idee e ricordi di infanzia, i quali lo portarono a farsi un'idea di come sarebbe diventato negli anni successivi: alcolizzato e sempre senza un soldo come suo padre.

    Invece, mentre lavorava al porto, conobbe quella che sarebbe diventata poi la sua seconda moglie, Barbara Pedrici, una bella ragazza timida e con un'infanzia che era l'opposto di quella che caratterizzò Richard.

    Fu amore a prima vista.
    Dopo un corteggiamento serrato, Kuklinski fece in modo che la madre di lei pagò il suo divorzio con la prima moglie, così lui poté avere tutte le carte in regola per risposarsi con la sua amata Barbara.

    Portandosi appresso le sue due figlie avute dal precedente matrimonio, seguirono ben presto nuove nascite: arrivò il suo primo figlio maschio, Dwayne. Contemporaneamente, giurò a se stesso che non avrebbe più fatto la vita dei propri genitori, cercando di occuparsi amorevolmente della propria famiglia.

    Nella vita domestica, Richard mostrava due personalità che si alternavano: a volte, era un marito e un padre perfetto, pieno di attenzioni, altre volte, andava su tutte le furie per nulla. Poteva stare in silenzio a covare rabbia per settimane, per poi esplodere improvvisamente, e non di rado portarlo a compiere un altro omicidio da aggiungere alla sua già lunga e numerosa lista.

    Normalmente non picchiava i figli. Mentre si sfogava era solito spaccare numerosi mobili e oggetti vari e, alle volte, più di rado, metteva le mani su Barbara, facendo aumentare di conseguenza la paura dei suoi tre pargoli alla vista di certe gesta. Quando gli attacchi di rabbia erano più forti, durante la notte, metteva un cuscino sulla faccia alla moglie e fingeva di soffocarla, mentre, in altre occasioni, la minacciava con una pistola.

    Richard era ossessionato da Barbara ai massimi livelli: voleva sapere dove fosse in ogni momento e voleva che stesse sempre a casa per non incontrare persone estranee.

    Kuklinski aveva l'ossessione di compiere qualsiasi cosa in modo maniacale, con particolare precisione e, soprattutto, voleva che la sua famiglia fosse la famiglia americana perfetta.

    Se visti con occhi esterni, i Kuklinski davano realmente l'inequivocabile impressione di una famiglia immacolatamente "a posto", unita e armoniosa. Nella realtà, invece, l'uomo che ogni sera sedeva capotavola, intento ad affrontare le varie portate di cibo che si susseguivano in casa, altro non era che il più implacabile e prolifico killer prezzolato di tutta l'America.

    The contract killer
    Come lavoro "ufficiale" Richard Kuklinski commerciava titoli e prodotti stranieri, lavoro per il quale era spesso in viaggio.

    Di nascosto, invece, faceva varie truffe, commercializzava videocassette pornografiche e, ovviamente, svolse il lavoro per cui fu reso famoso: il killer su commissione per diverse famiglie mafiose.

    La vera svolta fu la conoscenza di un mafioso italo-americano della famiglia DeCavalcante del New Jersey, Carmine Genovese, che iniziò a collaborare con lui nei numerosi e continui omicidi che accadevano in quegli anni nel mondo della malavita organizzata. Il suo nome ben presto circolò in tutte le famiglie che chiedevano sempre più frequentemente i suoi servizi, tanto che quasi tutte queste (generalmente le principali cinque di New York e quelle del New Jersey) avrebbero voluto farlo diventare un uomo d'onore a tutti gli effetti, rendendolo ufficialmente uno di loro.

    Ma ciò non poté accadere perchè nel crimine organizzato di quegli anni vigeva una regola fondamentale, e cioè che la persona da "assumere" doveva rigorosamente avere origini italiane, legge migliorata poco tempo dopo e resa più permissiva, in cui bastava che solamente uno dei genitori, meglio se il padre, fosse stato italiano.

    Questa sua seconda occupazione lo portò a viaggiare molto per compiere i numerosi omicidi, girando quasi tutti gli Stati Uniti d'America, e sfociando poi anche in Europa. Famosa tappa fu quella di Zurigo dove concluse numerosi affari, sia personali che dediti alla criminalità organizzata.

    Richard nella sua vita uccideva per svariati motivi: per derubare la vittima, per divertimento, per lavoro, per coprire altri omicidi, per soddisfare la sua rabbia interiore e per mantenersi in allenamento.

    Degna di nota la "palestra a cielo aperto" caratterizzata da numerosi vagabondi, disadattati e omosessuali dei bassifondi di una Manhattan violenta anni '70 e '80, convinto dell'idea che l'uccisione di queste persone senza identità e sconosciute al mondo esterno, non sarebbero mai venute alla scoperta, o per lo meno non lo avrebbero collegato a lui direttamente.

    Richard si sentiva piacevolmente eccitato quando uccideva, come se una droga gli scorresse nelle vene: era forte e felice, imprendibile. Finalmente era lui ad avere il controllo di un'altra persona.

    Si servì di qualsiasi oggetto per compiere omicidi.

    Dalle classiche armi da fuoco, che fece il più delle volte modificare personalmente, tra cui pistole semiautomatiche (le migliori, calibro .22 con proiettili a espansione, sapendo bene che quando uno di quei proiettili penetrava nel cranio, tendeva a rimbalzare provocando danni devastanti al cervello), revolver (calibri classici quali il .38 o il più potente .357 Magnum, ovviamente revolver con canna corta per essere facilmente occultabili), fucili canne mozze, alle più "intime" armi bianche quali coltelli, punteruoli e stiletti.

    Senza considerare corde, sbarre di ferro, mazze da baseball, o le proprie enormi mani.

    Oppure, come nell'ultimo periodo della sua attività, sfruttando le potenzialità del veleno, metodo che però si rivelò via via controproducente, spalancando, senza rendersene conto, le porte della prigione.

    Particolari le volte che, approfittando della sua immensa stazza - era alto quasi 2 metri (6'5") per circa 135 chili di peso (300 pounds), un gigante alla Ed Kemper - si trasformò in una specie di struttura da impiccagione, in cui, dopo aver legato attorno al collo del povero malcapitato di turno una corda, si girò di schiena e sfruttò la spalla come il fulcro di una carrucola, tirando la corda e sollevando da terra la vittima, portandola immancabilmente sulla via della morte.

    Parlando di Richard non si può non citare il perchè gli venne dato il famoso soprannome di "The Iceman", "Uomo di Ghiaccio". Questo avvenne dopo un macabro ritrovamento, da parte della polizia, di Louis Masgay, un vecchio socio di Kuklinski diventato un pò troppo "scomodo", il quale dopo essere stato ucciso venne inserito in una sacca e chiuso in un freezer per un paio d'anni. Richard così facendo riuscì a far credere agli inquirenti che Masgay fosse morto molto tempo dopo il suo reale decesso. La cosa funzionò.

    Una grotta di sangue
    Da molto tempo era rimasto affascinato dai vasti boschi di Bucks County, in Pennsylvania, per la pace e la tranquillità che caratterizzavano quei luoghi. Ma oltre che un posto per rilassarsi passeggiando immerso nella natura, costituivano anche il posto ideale dove nascondere dei cadaveri.

    Sbarazzarsi delle vittime, effettivamente, costituiva spesso un problema. Il più delle volte poteva lasciare il cadavere là dove l'aveva freddato, un vicolo, un parcheggio, un garage. Altre, invece, doveva assolutamente farlo sparire, spesso, su richiesta esplicita del committente.

    Quando ricorreva ai boschi stava particolarmente attento a non nascondere mai due corpi troppo vicini, per evitare di suscitare sospetti nelle autorità inducendole a sorvegliare una vasta zona. Il suo solo compito era quello di uccidere e, per essere sinceri, lo sapeva fare piuttosto bene, al punto da far assurgere l'assassinio su commissione a una specie di arte raffinata.
    In questo mondo infernale, Richard poteva considerarsi a pieno titolo un esperto, una sorta di killer superstar.

    Un pomeriggio invernale, si ritrovò in quel luogo con un fucile Browning a doppia canna adagiato sul braccio. Stretta nelle sue enormi mani quest'arma, più che vera, sembrava solamente un giocattolo. Gli piaceva giocare al gatto e al topo, ossia avvicinarsi non avvertito a un animale per poi colpirlo ancor prima che si accorgesse della sua presenza. Malgrado la sua stazza, era molto abile nel muoversi assolutamente in silenzio con grande maestria, cosa che gli consentiva, divertendolo moltissimo, di piombare inatteso su scoiattoli, marmotte, moffette e cervi, perfetti banchi di prova per ciò in cui eccelleva e che più gli piaceva: appostarsi, cacciare e uccidere esseri umani.

    "A essere sincero, non è che uccidere mi gratifichi molto. Quello che mi piace è ciò che avviene prima: l'agguato, il progetto del crimine, la caccia vera e propria" era solito riconoscere.

    Durante una di queste "uscite di allenamento" nei boschi, una volta si era imbattuto in un grosso roditore, che se ne stava nei pressi di una quercia. Pensando si trattasse di una marmotta, aveva deciso di prenderla alla sprovvista, muovendosi furtivamente si portò a una distanza giusta per uccidere al primo colpo: avvicinandosi sempre di più fece fuoco.

    Colpì il bersaglio ma l'animale era ancora vivo, con le zampe posteriori tese a scalciare in preda all'agonia. Avvicinandosi si accorse che si trattava di un gigantesco topo selvatico e, non provando il benché minimo rimorso o gusto nel veder soffrire quella creatura, con un altro colpo la finì immediatamente. Allontanandosi dal posto in cui aveva ucciso il ratto, aveva notato, nascosto da un cespuglio, l'ingresso di una grotta, tutta ricoperta di muschio.

    Molto incuriosito decise di penetrare all'interno di quel luogo, dove subito sentì il particolare odore dei ratti selvatici e notò diversi escrementi sparsi qua e là, ma delle creature neanche l'ombra. Uscendo da quel posto, raggiungendo la propria vettura, la sua mente iniziò già a pensare a un'idea diabolica, da mettere in pratica da lì in breve tempo.

    Tornando giorni dopo, portò un cartoccio di carta al cui interno c'era del mangime, decise di addentrarsi maggiormente nel buio cunicolo e, percorsi una quindicina di metri, lo depositò per terra, ancor più curioso di verificare la presenza di questi ratti. Uscì e se ne tornò a casa ma l'indomani, recatosi nuovamente in quel luogo si accorse che tutto il mangime era magicamente sparito. Sapendo che questi simpatici animaletti erano dei roditori che si adattavano a mangiare ogni cosa, si chiese se avrebbero anche gradito della carne umana, diventando degli ottimi, involontari alleati nelle sue torture e delitti.

    Ben presto il contratto riguardante un omicidio su commissione si era materializzato, con un esplicita richiesta: la vittima avrebbe dovuto soffrire. Se questo fosse avvenuto, il compenso si sarebbe raddoppiato, non solo diecimila dollari, ma ventimila, pronta cassa.

    La vittima viveva a Nutley, nel New Jersey. Richard non sapeva nient'altro sul suo conto, salvo che avrebbe dovuto farlo soffrire tantissimo prima di morire. Tutto sommato quella era la situazione che preferiva: meno sapeva a proposito del bersaglio, meglio era.

    Approfittando del fatto che riproduceva film porno da distribuire un pò ovunque, decise di utilizzare una videocamera. Il partner che lo aveva sostenuto all'inizio, introducendolo al mondo del commercio di video pornografici, era il ben noto Roy DeMeo, uno psicopatico senza controllo, soldato agli ordini della famiglia Gambino, la più estesa e potente famiglia criminale mafiosa nella pur violenta storia di New York. Lui si occupava di tutto: dalle auto rubate al traffico della droga, dal gioco d'azzardo alla pornografia, alle morti su commissione. Il suo superiore diretto, cioè il suo capitano, era Nino Gaggi, che riferiva direttamente a Paul Castellano, proprio in quegli anni capo riconosciuto della famiglia Gambino.

    DeMeo accettava, in modo indifferente, incarichi per eliminare boss caduti in disgrazia o persone normali che dovevano togliere il disturbo, e per questi lavori si faceva pagare bene. Era un chirurgo dell'omicidio ed era abilissimo nel fare a pezzi i cadaveri per sbarazzarsene con minore difficoltà. "Smontarli", puntualizzava ridendo. Grazie a una sorprendente abilità nell'uso del coltello, sezionava i cadaveri in sei parti principali - testa, braccia, gambe, tronco - che poi andava a sparpagliare in luoghi diversi: la testa in un cassonetto della spazzatura, le braccia nelle acque del vicino oceano Atlantico, le gambe nella grande discarica di Canarsie, a ridosso di Belt Parkway.

    DeMeo aveva messo insieme una piccola banda di spietati assassini dal sangue freddo: Joey Testa, Anthony Senter, Chris Goldberg, Henry Borelli, Freddie DiNome e suo cugino Joe Guglielmo, noto come Dracula, tutta gente pronta ad ammazzare senza alcuna remora per guadagnarsi un posto nella galleria dei killer di ogni tempo di Cosa Nostra. Prima che venisse finalmente sgominata la banda di DeMeo, aveva eliminato oltre un centinaio di persone, di cui la maggior parte degli omicidi, smembramenti e torture varie venivano consumate nel retro di un locale da lui gestito, famoso agli appassionati del settore, il Gemini Bar (soprannominato "La Macelleria" per ovvi motivi), al 4021 di Flatlands Avenue, New York.

    Questo era DeMeo, un personaggio decisamente poco raccomandabile.

    Per mettere in atto il suo piano, Richard aveva deposto nel bagagliaio della sua macchina la videocamera, un robusto nastro adesivo grigio da idraulico ed un paio di manette. Sapeva che la vittima usciva di casa per andare al lavoro alle 10 in punto del mattino e dopo aver studiato attentamente il percorso che l'uomo seguiva ogni volta, aveva stabilito che l'avrebbe fermato all'altezza di un incrocio poco trafficato, dove sarebbe stato costretto a fermarsi per via di uno stop. A Kuklinski non piaceva entrare in azione alla luce del giorno, ma quando c'era un lavoro da fare non stava troppo a sottilizzare e sapeva ben adattarsi: per di più sapeva che con la luce del giorno la gente stava meno sulla difensiva, un comportamento naturale sul quale aveva puntato non poche volte.

    Quando la vittima predestinata era arrivata al punto cruciale, Richard si era fatto trovare accanto alla propria auto, il bagagliaio aperto, le luci di emergenza accese e un bel sorriso accattivante stampato sulla faccia. In una mano stringeva una Magnum calibro .357, tenuta nascosta nella tasca del giaccone. Con ampi gesti aveva attirato l'attenzione della vittima, che si era accostata all'angolo della strada.

    Evidentemente infastidita da quell'inconveniente, la vittima abbassò il finestrino chiedendo a Richard che cosa succedesse. Ringraziandolo di essersi fermato, Kuklinski, in un batter d'occhio, estrasse la pistola e gli e la puntò alla testa, mentre con l'altra mano, con altrettanta rapidità, gli sfilò le chiavi dal cruscotto. Senza dire una parola gli aprì la portiera e lo intimò di seguirlo, prendendolo di sorpresa, legandolo e chiudendolo nel bagagliaio della propria auto. Partì e guidò come fece tutte le volte, cioè con un'andatura regolare, rispettando stop e semafori. In una manciata di secondi aveva catturato e zittito la preda: la prima parte del lavoro era stata svolta egregiamente.

    Una volta arrivato all'entrata della grotta sita in Bucks County, Kuklinski prese il povero malcapitato e lo spintonò fino al punto preciso in cui tempo prima lasciò il mangime per i topi. Con svariati giri di corde, nastro isolante e grazie alle manette lo immobilizzò bloccandogli mani, caviglie e bocca. La vittima tentava disperatamente di dire qualcosa, ma grazie al nastro serrato con forza stentò a riuscirci.

    Ciò che l'uomo voleva dirgli Richard l'aveva già sentito infinite volte: parole vane, suppliche, proposte di denaro in cambio della libertà e altre cose che lo lasciavano del tutto indifferente. Non provava rimorso, né senso di colpa, né, tanto meno, compassione. Stava semplicemente svolgendo un lavoro e nemmeno uno di quei sentimenti riusciva a fare capolino nella sua coscienza.

    Tornato alla macchina, prelevò la videocamera, il treppiede su cui montarla, una torcia e un sensore di movimento il quale permetteva alla videocamera di iniziare a riprendere la scena solamente quando i topi si sarebbero fatti vivi. Sistemato il tutto ritornò a casa, incuriosito e anche un poco divertito pensando a quello che sarebbe accaduto, se i ratti avessero divorato vivo il malcapitato oppure no e come lui avrebbe reagito davanti a una scena simile.

    Ancora una volta si meravigliò di se stesso, del suo implacabile, terribile sangue freddo. Era nato così, oppure, lo era diventato con il tempo: non sapeva se era stata la natura oppure la vita a fare di lui quel mostro che era diventato. Un interrogativo, questo, che si portava dietro da anni, sin da quando era ragazzo.

    Quattro giorni dopo ritornò alla grotta e scoprì che i topi avevano divorato vivo il povero uomo. Ogni traccia di carne era sparita: quello che ancora restava della vittima non erano che delle ossa sparpagliate qua e là, uno spettacolo spaventoso.

    Incuriosito e stuzzicato si era compiaciuto del lavoro svolto e di ciò che si era inventato. Poi si era premurato di verificare se la videocamera aveva svolto bene il suo compito. Come le orde di ratti affamati si erano dapprincipio avvicinate alla vittima inerte, smaniosa di riuscire in qualche modo a liberarsi. Come i famelici assassini, via via sempre più numerosi e intraprendenti, avessero alla fine cominciato ad attaccarla, divorando prima le orecchie e poi gli occhi.
    Il suo commento fu: "Piccoli bastardi viziati".

    Ritirato l'equipaggiamento se ne andò. Tutt'attorno la neve, in quel freddo giorno, svolgeva egregiamente il proprio lavoro, cancellando qualsiasi traccia di impronte.

    Consegnando il nastro con la registrazione al committente, in breve tempo, visionandolo, quest'ultimo si rese conto di non riuscire a continuare a guardare, da tanto raccapricciante fosse quello spettacolo. E aveva ragione. Kuklinski sfruttò questo sistema infinite volte, affidando il compito di far sparire i cadaveri a quei ratti affamati e maledettamente bravi nello svolgere quel lavoro di ripulitura.

    L'ultimo chiaro di luna
    Per Richard Kuklinski il denaro contava molto. Se ne avevi eri un uomo di successo, se non ne avevi eri una nullità qualunque che si vedeva sfilare impotente il bello della vita davanti agli occhi. Ma il suo problema principale era quello di avere le mani bucate: più soldi possedeva e più ne spendeva e sperperava al gioco d'azzardo, solamente che la differenza tra lui e una persona normale stava nel fatto che Richard, quando i soldi scarseggiavano, diventava nervoso e violento, molto violento.

    Dopo diversi lavori su commissione, tra cui l'eliminazione di un certo Paul Rothenberg, suo socio in affari e con il quale aveva in mano l'intera produzione e distribuzione di videocassette porno di tutta New York, Kuklinski divenne ancor più legato a Roy DeMeo, ma, cosa ancora più importante, aveva aperto il collegamento con Nino Gaggi e, per il suo tramite, con la famiglia Gambino.

    Un giorno DeMeo lo aveva invitato a pranzo in un ristorante tipico italiano, La Villa, nella zona di Bensonhurst. Il locale si trovava verso la Ventiseiesima Avenue, un vecchio edificio con delle colonne sulla facciata. Servivano piatti espressi della cucina napoletana, quella che Gaggi preferiva. In quel posto tutti sapevano chi era Nino Gaggi e lo accoglievano come se si trattasse di un nobile principe italiano: appena arrivava, in un attimo tutto il meglio dei cibi e dei vini era a sua disposizione, lo staff dei camerieri sull'attenti. Ovviamente Gaggi era soddisfatto del lavoretto di Richard che aveva tolto di mezzo l'infido Paul Rothenberg e gli aveva assicurato che gli avrebbe fatto guadagnare dei bei quattrini.

    Da parte sua Roy DeMeo si comportava come il mentore di Richard, come se quel killer spietato fosse una sua creatura... una specie di segreto Mostro di Frankenstein, una implacabile macchina di morte capace di onorare qualsiasi impegno, per quanto pericoloso fosse.

    Grazie all'intercessione di DeMeo, Kuklinski avrebbe potuto dunque diventare un membro dell'armata di sicari che faceva capo al clan Gambino. Il fatto che non fosse italiano e non avesse mai avuto rapporti con gang organizzate di killer era un credito in più per lui, perché, qualora fosse stato necessario, avrebbe potuto mettersi al servizio dell'una o dell'altra famiglia indifferentemente, come libero professionista.

    La settimana dopo DeMeo ricontattò Richard, invitandolo al Tappan Zee Bridge, divenuto classico luogo di incontro tra i due, in cui gli venne proposto un nuovo lavoro, un qualcosa di speciale: a Miami, un cubano aveva pensato bene di rapire e stuprare la figlia quattordicenne di un affiliato di DeMeo: non era stato riconosciuto, perchè si era coperto il volto con una bandana, ma la sicurezza che fosse lui era ben radicata. Dopo avergli spiegato dove potesse trovarlo, a Richard gli venne ordinato di farlo soffrire molto, moltissimo. Salutandosi con una stretta di mano e con ventimila dollari in più nelle tasche di Richard, quest'ultimo partì immediatamente per Miami.

    Il giorno dopo si era messo in viaggio, senza fermarsi lungo il tragitto, né per mangiare un boccone né per riposare. Aveva guidato fino a destinazione senza mollare. Al posto di rifornimento, per verificare il livello dell'olio e fare il pieno di benzina, aveva pagato in contanti. Possedeva una carta di credito, ma non voleva lasciare traccia alcuna di quel suo spostamento. Non disponeva di una fotografia del bersaglio, ma DeMeo gli aveva precisato qual'era la sua automobile, che teneva posteggiata nel parcheggio destinato agli impiegati dell'hotel, e gli aveva anche segnalato il numero di targa.

    Le persone che Richard odiava di più erano gli stupratori. Mentre guidava, immaginava quale reazione avrebbe potuto avere se qualcuno avesse commesso una cosa simile nei confronti di una delle sue figlie... la rabbia e l'odio, sfociando immancabilmente nell'omicidio.

    Così come era del tutto indifferente al cospetto della sofferenza di un uomo, Richard era invece fortemente empatico e solidale nei confronti delle giovani ragazze che subivano quel genere di violenza. Per questo stava già pregustando quell'omicidio come qualcosa di molto stuzzicante. Era un lavoro che si apprestava a fare volentieri, al punto che, se glielo avessero chiesto, l'avrebbe svolto anche gratuitamente, senza compenso.

    Come sua abitudine, Richard non si era messo in azione spinto dalla fretta di fare ma aveva ponderato al meglio le sue possibilità d'intervento. Si era portato dietro una calibro .38 caricata con proiettili a palla appuntiti e un coltello da caccia, affilato meglio di un rasoio, dalla lama leggermente incurvata. Ogni volta che uccideva qualcuno con un coltello, aveva preso l'abitudine di segnare una tacca sul manico.
    Su quello che si era portato dietro aveva già quattro tacche.

    Raccontava: "Non ricordo bene quando mi è venuta questa mania, so solo che a un certo punto ho incominciato a segnare con delle tacche sul manico dei coltelli ogni omicidio portato a buon fine. Un pò come facevano, e forse fanno ancora, i pistoleri. Nel corso degli anni ho utilizzato dozzine di pugnali per uccidere. Il manico di alcuni è arrivato a riportare 10-15 tacche. A quel punto me ne liberavo, li gettavo via".

    Per quel lavoro aveva pensato di usare proprio un coltello. Ammazzare con una lama gli piaceva in modo particolare, perchè era un gesto molto diretto e personale, che costringeva all'essere vicino, in intimo contatto con la vittima. Gli piaceva vedere la vita abbandonare gli occhi del morente, una soddisfazione ancora maggiore se si trattava di uno stupratore, come in quel caso.
    Insomma, si sarebbe divertito.

    La vittima risiedeva in un complesso residenziale a tre piani lungo la Collins Avenue, accanto alla Settantesima, che si affacciava sia sull'oceano che sulla grande arteria. Presa una stanza in un hotel vicino, dopo aver ben pranzato, aveva parcheggiato nel posteggio alla ricerca della targa segnalatagli da DeMeo.
    Non l'aveva trovata.

    C'erano in pratica due turni: dalle 8 del mattino alle 4 del pomeriggio e da quest'ora fino a mezzanotte. Era il pieno inverno del 1974 e il parcheggio era zeppo. Doveva stare molto attento a non farsi notare dal bersaglio. Se n'era andato, ma solo per ritornare alle 15:30.
    Non aveva dovuto attendere molto.

    Il cubano era arrivato, aveva parcheggiato, era sceso fischiettando, del tutto ignaro di quello che avrebbe potuto capitargli. Aveva una Chevy rossa mezza scassata, la targa era quella, corrispondeva. Quando aveva inquadrato il soggetto, Richard in un baleno aveva realizzato come portare a buon fine il lavoro e ancora una volta se n'era andato. Adesso non era che una questione di tempo.

    Alle 23:30 di quella stessa notte era di nuovo in macchina, nel parcheggio del complesso residenziale. Appena al di là della strada c'era il Nebas, un ritrovo per giovani, dove si accalcava un pò di gente. Parcheggiato il suo van professionale nel posto libero più vicino alla macchina del cubano, era sceso, gli aveva squarciato una gomma ed era tornato sulla sua auto. Il metodo era ben collaudato e lo aveva applicato in molte occasioni. Aveva già anche predisposto dove avrebbe portato la vittima una volta catturata, un palmeto isolato in riva all'oceano a circa un'ora e mezza da lì.

    Verso mezzanotte il bersaglio era arrivato a prendere la macchina. Accortosi della gomma bucata, si era messo a imprecare mentre apriva il cofano per recuperare la ruota di scorta. Aveva appena voltato le spalle che già Kuklinski gli puntava la pistola contro la schiena. Lo intimò di seguirlo, con una voce distaccata e fredda, quasi fosse quella artificiale di una registrazione telefonica.

    A questo punto gli aveva mostrato la pistola e lo trascinò fino al suo van. Qui l'aveva cacciato dentro, gli aveva stretto le mani dietro la schiena e infilato uno straccio in bocca sul quale aveva poi applicato il solito pezzo di nastro isolante grigio da idraulico. Salito al posto di guida, con tutta calma aveva fatto manovra ed era uscito dal parcheggio.
    Il tutto non era durato più di un paio di minuti.

    Mentre procedeva lungo la Collins Avenue in direzione nord si era rivolto al malcapitato passeggero, spiegandogli il motivo di tale gesto e come mai avesse scelto proprio lui come bersaglio. La vittima, impossibilitata a parlare, emetteva soltanto versi e mugugni, ma si tranquillizzò subito dopo qualche minaccia esplicita da parte di Richard.

    Quello che era strano in lui, non erano tanto le parole che diceva, quanto il modo, algido e distaccato, con cui le pronunciava, quasi come se ogni parola fosse un taglio, una ferita inflitta con un coltello affilato. Richard approfittò anche del fatto di stuzzicarlo un pò, rendendo il tutto molto più divertente e intrigante, dicendogli addirittura che prima di ucciderlo doveva farlo soffrire moltissimo, che lo avevano pagato proprio per quel motivo.

    Imboccata una stradina sterrata che conduceva nel cuore di quella isolata e selvaggia distesa di palme, giù verso la spiaggia. Infilati i soliti guanti in plastica, Richard aveva fatto scendere la vittima, lo condusse verso una palma e qui lo legò per bene con una robusta corda gialla di nylon. A questo punto l'uomo era precipitato nel panico più totale: Kuklinski gli mostrò il coltello e la sua lama affilata sulla quale i raggi della luna di quella notte sembravano rimbalzare, mettendo ancora più in evidenza il filo perfetto. Gli aveva fatto scendere pantaloni e mutande, quindi, afferrati i testicoli con una mano, con l'altra glieli aveva staccati di netto con un colpo di coltello.

    Un dolore parossistico era esploso nell'uomo privato degli attributi. Gli occhi fuori dalla testa, aveva visto i suoi genitali in mano al killer. Lasciando passare qualche minuto affinché il malcapitato si riavesse dallo spavento e dal dolore, Richard non perse tempo per continuare a punzecchiarlo verbalmente, si stava divertendo un mondo. Riprese subito dopo con il lavoro e, preso questa volta il pene tra le mani, glielo amputò, mostrandoglielo poi in contemporanea a una sadica risata, mentre ancora la ferita zampillava sangue.

    Poi, infilò il trofeo in un sacchettino per conservare morbidi i sandwich che si era portato dietro apposta, in modo tale da avere le prove da esibire al committente e dimostrargli che realmente il malcapitato avesse sofferto.

    Tornato dalla vittima, l'aveva completamente denudata. Poi col coltello aveva incominciato a farla letteralmente a fettine. Staccava lentamente delle strisce di carne, come delle piccole bistecche da fare arrosto. Ogni volta che ne tagliava una, gliela mostrava, con un sorriso.

    In breve l'uomo era diventato una cosa orribile a vedersi anche alla pallida luce argentea della luna di Miami. Di nuovo Richard era tornato al van. Si era procurato un barattolo di sale e ora si divertiva a cospargerlo a profusione sulle tante lacerazioni fresche che gli aveva inflitto. Sapeva che quel tocco aggiuntivo avrebbe provocato una sinfonia di dolore ancora più straordinario.
    Aveva lasciato tempo al sale di svolgere la sua azione.

    A questo punto, aveva affondato completamente il coltello nel basso ventre dell'uomo e gli aveva squarciato la pancia. Le budella erano scivolate fuori dal corpo ed erano rimaste penzoloni per qualche momento, simili a serpenti scuri che si agitavano nervosi dentro una gabbia.

    Infine lo liberò dalla palma, gli infilò un salvagente e lo trascinò fin sulla spiaggia, al limite dell'acqua.

    Con la voglia di punzecchiarlo e renderlo più o meno conscio di quello che gli stava facendo, Richard spiegò che una volta in acqua i pescecani non ci avrebbero impiegato più di un secondo a trovarlo, sentendo l'odore del suo sangue, specialmente in quella zona dove se ne avvistavano molti, assieme agli squali tigre.

    Con questa benedizione, lo trascinò e spinse in acqua, affidandolo al mare.

    Poi ritornò sul suo van, raccolse tutti i pezzi di carne staccati dal corpo dell'uomo e li gettò in mare. Completato anche questo lavoro, contento e rilassato più che mai, se ne tornò in hotel per mangiare qualcosa e per riposarsi, dopo la grande fatica appena fatta.

    Reazioni pericolose
    Rincasando, l'indomani, mentre attraversava la North Carolina, affiancò una macchina che sventolava dal finestrino la bandiera "sudista" degli stati confederati. A bordo c'erano tre tipacci che lo presero subito di mira: gli gridavano insulti e gli mostravano il dito medio bello in vista. Con tutta la gente che c'era al mondo, loro erano andati a scegliere proprio la persona sbagliata. Richard li mandò a quel paese, intimandoli di cambiare aria, ma quelli non smisero: gli facevano gestacci, lo provocavano, lo guardavano con volti truci, come se avessero intenzione di fargli davvero del male.

    Dopo averli superati, Richard Kuklinski si fermò in una piazzola lungo l'autostrada e li aspettò. I tre tipi si fermarono immediatamente appena lo videro.
    Nel frattempo lui si era preparato: aveva tirato fuori la pistola che teneva sotto il sedile di guida.

    Quando i tre scesero dall'auto, uno stringeva fra le mani una mazza. Kuklinski andò loro incontro e, senza dire una sola parola, li freddò tutti e tre a bruciapelo, lasciandoseli dietro morti stecchiti sull'asfalto.

    In meno di dieci ore aveva ucciso quattro persone senza provare alcuna sensazione, fatta salva la curiosità morbosa di interrogarsi in merito a quanto tempo gli squali avrebbero fiutato il sangue e straziato quel porco di un cubano. Era fiero di quello che aveva fatto, della sua inventiva straordinaria, di aver fatto giustizia.

    Quando la polizia stradale trovò i corpi dei tre nella piazzola di sosta non aveva praticamente nulla su cui contare, né testimoni, né appigli, neppure tracce di pneumatici. Non restava altro da fare che archiviare il caso, per l'ennesima volta.

    L'arresto della belva
    La polizia è convinta che Kuklinski abbia ucciso un centinaio di persone, forse più, la maggior parte uomini comuni, e viene arrestato dalle autorità di New York con l'aiuto di un infiltrato, Dominick Polifrone, nei pressi della sua abitazione il 17 dicembre 1987, dopo numerosi anni che tentavano di incastrarlo.

    Questo si rese possibile grazie a delle registrazioni telefoniche in cui praticamente Richard Kuklinski, forse ormai convinto di essere invincibile e imprendibile, confessò spudoratamente i diversi usi che fece del veleno, di come lo utilizzava per uccidere qualcuno e di come questo fosse praticamente invisibile creando molto similmente un attacco di cuore, stroncando il malcapitato di turno in maniera molto veloce. Anche grazie a un piano ben congeniato in cui Polifrone avrebbe dovuto vendergli diverse armi rubate, traendolo così in inganno.

    Quest'ultimo piano fu studiato nei minimi particolari e pronto per essere messo in atto nell'area di servizio Vince Lombardi. Non tutto filò liscio, perchè Richard Kuklinski inspiegabilmente non si presentò all'appuntamento, come se fosse riuscito a fiutare guai nell'aria. Kuklinski si diresse verso casa, dove in poco tempo si ritrovò una schiera di agenti e volanti pronte a bloccarlo e arrestarlo.

    La condanna, il carcere e la morte
    Venne condannato a sei ergastoli ma non alla pena di morte, a causa della totale mancanza di testimoni durante gli omicidi.

    Fu rinchiuso nella prigione di massima sicurezza di Trenton, New Jersey, dove da diversi anni si trovava anche il fratello, Joseph Kuklinski, arrestato anni prima per aver stuprato una bambina di 12 anni in un granaio e gettata poi a basso senza il minimo problema. Si dimenticò completamente di lui dopo questo fatto, perchè, ricordiamo, che nel suo personale codice morale, la violenza sui minori costituiva un reato inaccettabile.

    Durante la detenzione, Richard venne convinto a partecipare a documentari e accettò di stendere, insieme all'autore Philip Carlo, la sua biografia, durante 240 ore di interviste: The Iceman: confessions of mafia contract killer, dove confessò gli innumerevoli delitti e tutta la sua vita dedita al crimine, malavitoso e non.

    Richard Kuklinski muore nella prigione di Trenton il 5 marzo del 2006 per complicazioni cardiache, anche se voci dicono che è stato avvelenato da qualcuno che probabilmente lo reputava troppo scomodo o che, date le sue confessioni, anche di particolari segreti, lo voleva far tacere per sempre.


    Questo dossier è dedicato a Philip Carlo (18 aprile 1949 - 8 novembre 2010), autore della biografia The Ice Man: Confessions of Mafia Contract Killer e persona molto gentile, con la quale ho avuto il piacere di scambiare diverse mail per particolari e ulteriori informazioni sulla vita di Richard Kuklinski.



    Dossier scritto da:
    Fabio Totis
     
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    giuro che domani commento, ma intanto:
    mai un serial figo? ovvio che uccidono, si sfogano in quanto cessi assurdi XD
    scusate il pessimo gusto della mia frase :sconvolte:
     
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    CITAZIONE (Broken ÆÐ @ 19/2/2017, 20:52) 
    giuro che domani commento, ma intanto:
    mai un serial figo? ovvio che uccidono, si sfogano in quanto cessi assurdi XD
    scusate il pessimo gusto della mia frase :sconvolte:

    Originale punto di vista ;) ma penso che le motivazioni siano ben altre! Ti consiglio l'acquisto del libro "I serial killer" di De Luca, davvero completo e analizza parecchi aspetti delle menti criminali, sia in termini biografici che psicologici/patologici dei singoli soggetti.
     
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    Spero non faccia anche una tabella del tipo a x corrisponde y, perché sarebbe sbagliata
     
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    CITAZIONE (Broken ÆÐ @ 19/2/2017, 22:22) 
    Spero non faccia anche una tabella del tipo a x corrisponde y, perché sarebbe sbagliata

    A x corrisponde y in che senso?
     
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    Che fa una cosa e quindi tutti quelli che la fanno sono così
     
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    CITAZIONE (Broken ÆÐ @ 19/2/2017, 22:47) 
    Che fa una cosa e quindi tutti quelli che la fanno sono così

    No, decisamente no ;)
     
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6 replies since 19/2/2017, 18:43   353 views
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